Mentre il governo discute se e come regolarizzare gli immigrati già residenti in Italia e privi di permesso di soggiorno, nelle campagne del Paese centinaia di migliaia di migranti continuano a lavorare sotto padrone e sotto caporale. Completamente esclusi dal dibattito in corso, la vita nei ghetti e nelle banlieu italiane resta identica a ieri. E probabilmente non cambierà.

La regolarizzazione proposta dal governo sarà infatti valida per sei mesi e rinnovabile per altri sei, dimenticando che lo sfruttamento e il caporalato sono una modalità del mercato del lavoro, sia formale che informale, che incide in esso trasversalmente e strutturalmente.

Abbas è un bracciante nigeriano di 42 anni che da dodici vive sulla «pista» di borgo Mezzanone, in provincia di Foggia, ancora oggi un immenso accampamento di baracche senza servizi. Abbas ha un regolare permesso di soggiorno ma abita insieme ad altri cinque connazionali in una baracca rivestita di plastica, lamiere e assi di legno. Lavora nella raccolta dei pomodori e guadagna circa 30 euro al giorno.

«Il permesso di soggiorno – dice con voce chiara – è importante ma il problema sono queste baracche e il padrone che paga poco o niente». A borgo Mezzanone abitano stabilmente poco più di 1.000 immigrati impiegati nella raccolta dei pomodori. In ogni baracca dormono in 6 o in 10 e non dispongono, come Abbas, dei servizi minimi essenziali, come elettricità, acqua, servizi igienici e fognatura.

È qui che si consuma la segregazione e la riduzione in schiavitù di migliaia di lavoratori agricoli immigrati, in alcuni casi espulsi dall’accoglienza italiana per via della vigente legge 132/2018 (decreto Sicurezza).

L’assenza di una volontà politica chiara e determinata, riforme del mercato del lavoro che hanno costantemente rafforzato il ruolo dei padroni a discapito dei diritti dei lavoratori, sia italiani che migranti, flussi migratori regolati dal mercato e non dal diritto, un sistema di accoglienza boicottato dallo stesso Stato e un welfare ormai fragilissimo, sono il brodo infetto di coltura dello sfruttamento, dei poteri agromafiosi, politici e commerciali del settore.

Sandhu Singh, bracciante indiano che da otto anni vive nel residence «Bella Farnia Mare» di Sabaudia, lavora «in regola» per una cooperativa agricola locale.

«Siamo migliaia che lavoriamo in agricoltura. Molti di noi, come me, hanno un regolare permesso di soggiorno e altri invece lavorano senza permesso e senza contratto. Sotto le serre del padrone lavoriamo tutti insieme. L’unica differenza che vedo tra me e chi non ha un permesso di soggiorno si vede quando ci fermano i carabinieri, perché io vado via tranquillo e il mio compagno di lavoro invece ha problemi. Penso che regolarizzare è importante per noi stranieri ma il problema è che a sfruttare i lavoratori sia regolari che irregolari è il padrone. Ho lavorato tre anni in un’azienda di Terracina e avevo il permesso di soggiorno e anche il contratto ma guadagnavo 2,90 euro all’ora. È il padrone o il caporale che registra le nostre ore di lavoro e ne segna meno di dieci al mese mentre io lavoro tutti i giorni. È il padrone il problema. Se proviamo a protestare ci dice di restare a casa perché trova altri lavoratori al nostro posto».

A Saluzzo, invece, nel ricco Piemonte a guida leghista, le istituzioni regionali sono gravemente latitanti rispetto alle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori migranti stagionali che nel solo cuneese rappresentano il 75% dei lavoratori impiegati in quell’area. La Regione Piemonte continua, con ostinazione sovranista autolesionista, a reclamare l’impiego nelle campagne della sola manodopera italiana, la quale non può certo coprire l’intero fabbisogno locale che è di circa 10 mila addetti.

Bisognerebbe pensare a delle soluzioni sicure per l’alloggio e il trasporto dei lavoratori migranti ed evitare che si crei un’ulteriore emergenza umanitaria e sanitaria che può fare esplodere la tensione sociale. Ma la Lega ha deciso di dichiarare guerra alla regolarizzazione e di non occuparsi dello sfruttamento e del caporalato. In attesa della regolarizzazione a termine, lo sfruttamento continua.