Difficile raccontare con semplicità e, insieme, con rigore scientifico, la complessità esplosiva del primo ventennio del Novecento, periodo percorso dalle speranze e dalle tensioni costruttive del socialismo italiano, dall’esaurirsi delle spinte progressiste post unitarie e insieme dal cupio dissolvi di una società che, dopo aver iniziato a gettare le basi per il raggiungimento di un benessere sociale non più riservato a pochi e di un’arte e di una cultura d’avanguardia ferocemente critica verso l’accademia, implodeva su se stessa in un processo di autoimmunizzazione distruttiva.

Mirella Serri, in questo Mussolini ha fatto tanto per le donne! Le radici fasciste del maschilismo italiano (Longanesi, pp. 265, euro 19) ci riesce magnificamente: il ribollire di quegli anni è narrato attraverso una molteplicità di prospettive, tante quante erano le componenti in campo, e la figura del protagonista viene rappresentata, forse per la prima volta, in tutto il suo squallore, la sua furbizia, il prepotente desiderio di rivalsa e l’insidiosa capacità di sfruttare e di approfittarsi delle circostanze, degli uomini e, soprattutto, delle donne.

ATTRAVERSO LA NARRAZIONE del rapporto che Mussolini ebbe con le donne, dagli inizi della sua carriera politica fino alla nomina a Presidente del Consiglio – dalle relazioni più note a quelle meno conosciute, si dipana il filo della storia italiana di quegli anni e si scoprono le radici del patriarchismo, che tuttora pervade, anche se in altre forme, la cultura italiana e che ha impedito, per decenni, la completa parità giuridica fra donna e uomo.

Sesso e carattere di Otto Weininger, costituisce, secondo Serri, la base ideologica del pensiero patriarcale e fascista sulla donna che Mussolini pone alla base della comunicazione mediatica e di quelle novità legislative che imprigionano le donne dentro i confini domestici, concedendo loro solo la possibilità di pochi lavori esecutivi: segretaria, stenografa e dattilografa, bibliotecaria, commessa in negozi di abbigliamento femminile e per bambini, direttrice di case di moda, cassiera, annunciatrice.

«Se si compilasse una lista doppia, degli uomini e delle donne più eccellenti nella poesia, pittura, scultura, musica, storia, scienze naturali e filosofia e per ogni materia si citasse una dozzina di nomi, le due liste non compatirebbero un confronto reciproco», così Weininger nel teorizzare l’inferiorità del sesso femminile chiuso nella sua fisicità («L’essere femminile è per sua più intima natura sensuale e del tutto dominato e schiavo delle sue funzioni fisiche/corporee/sessuali») e nell’esaltazione della superiorità genetica maschile.

L’ideologia di Weininger che Mussolini fa sua non gli impedisce di approfittare cinicamente delle donne. Serri ripercorre questa storia squallida intessuta di seduzione, inganni, scalata sociale e politica sulle «fragili» spalle delle donne, dalla visita ad Anna Kuliscioff e a Turati, magistralmente descritta all’inizio del libro, alla relazione con Angelica Balabanoff, utile per la sua intelligenza politica, per il suo fondamentale lavoro all’Avanti! e, soprattutto, per la sua vicinanza con gli ambienti massimalisti del socialismo, a quella con Margherita Sarfatti, maestra di vita, determinante per la sua ascesa e per il sostegno finanziario dato al partito fascista e al giornale, alla losca e triste vicenda con Ida Dalser che si era privata dell’intero suo patrimonio per aiutarlo a fondare il Popolo d’Italia, alle violenze su Anna Ceccato, costretta ad abortire, fino alla nutrita schiera delle amanti dei primi anni che spesso lo sostennero economicamente.

DESTREGGIANDOSI ABILMENTE fra le istanze socialiste e femministe per il riconoscimento del voto alle donne, Mussolini riesce nell’intento di dare concretezza alla definizione della donna come essere inferiore e nel consolidarsi del sentire comune che vede le femministe come non donne, diverse, streghe, infine pericolose per l’equilibrio e la crescita della società.

E, infine, a radicare quel costume politico che, come osserva Serri nella splendida introduzione, manifesterà i suoi effetti e la sua presenza anche ai lavori della Costituente nel 1947 (e oltre, basti pensare all’abrogazione del delitto d’onore avvenuta solo nel 1981).