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Il passo indietro sulla transizione ecologica

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Energia Nel nuovo esecutivo il Ministero della Transizione ecologica si è trasformato nel Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica. Il timore è che l’ennesimo cambio di denominazione, questa volta legato più alla situazione contingente che a scelte strategiche, rappresenti un passo indietro politico e programmatico

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 3 novembre 2022

Con la fiducia di Camera e Senato, nel giro di pochissimi giorni dalle consultazioni, il Governo Meloni è diventato operativo.

Nel nuovo esecutivo il Ministero della Transizione ecologica si è trasformato nel Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica. Il timore è che l’ennesimo cambio di denominazione, questa volta legato più alla situazione contingente che a scelte strategiche, rappresenti un passo indietro politico e programmatico.

Il cambio del ministero arrivato con il Governo Draghi, richiesto dal mondo scientifico e da quello ambientalista, puntava a facilitare il processo di conversione dei modelli di produzione e consumo rispetto alle sfide che il cambiamento climatico e la crisi di biodiversità pongono alla nostra sicurezza e alla nostra capacità di creare benessere.

Nel concreto l’applicazione di tale scelta è stata ben al di sotto delle aspettative, ma si era dato un segnale chiaro sulla necessità di accelerare la transizione ecologica. Un indirizzo confermato dalla larghissima maggioranza parlamentare che aveva modificato gli articoli 9 e 41 della Costituzione con l’inserimento della tutela dell’ambiente e della biodiversità tra i principi fondamentali della nostra Carta, anche per le future generazioni e nel rispetto del principio che l’iniziativa economica non può danneggiare l’ambiente.

nome può essere solo un cambio di nome, ma a sentire le prime dichiarazioni del nuovo ministro Gilberto Pichetto Fratin, in gran parte incentrate sulle grandi chimere del nostro dibattito energetico (nucleare sicuro e ricerca di gas «italiano»), è lecito domandarsi: che fine farà la transizione ecologica nelle politiche pubbliche?

Quale ruolo avranno le grandi emergenze del nostro tempo (cambiamento climatico e perdita della biodiversità) nell’indirizzo politico dei prossimi anni? Dalle risposte a queste domande deriveranno le scelte strategiche sul nostro futuro, anche perché gli investimenti su energie rinnovabili e mobilità sostenibile in tutto il mondo rappresentano un driver importantissimo della sicurezza e dello sviluppo economico ed energetico.

Da questo punto di vista non rappresenta un buon segnale il fatto che l’ex Ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, sia stato scelto come consulente del Governo per l’energia, considerato che il suo mandato non si è certo contraddistinto per la volontà di superare la dipendenza dalle fonti fossili climalteranti.

Se la prospettiva economica e sociale a livello internazionale e comunitario è quella della sostenibilità, i prossimi anni dovranno essere quelli della transizione. Ogni ulteriore ritardo, non solo costituirà un pericolo per l’ambiente in cui viviamo, ma inciderà sulla nostra capacità di essere competitivi rispetto a tante altre economie che stanno investendo su modelli produttivi maggiormente sostenibili.

Contrariamente a quanto qualcuno sembra pensare, non vi può essere una transizione ecologica lenta e soprattutto non vi può essere una transizione poco convinta, con un passo avanti, solitamente definito a livello europeo, e due indietro, dettati dalle lobby nazionali refrattarie ai cambiamenti.

La legislatura appena nata ha un orizzonte temporale che arriva al 2027: si tratta di un periodo fondamentale perché per raggiungere gli obiettivi posti al 2030 dall’Unione Europea per contrastare il cambiamento climatico (ridurre le emissioni di gas serra del 55%) e la perdita di biodiversità (proteggere il 30% di superficie a terra e a mare) è indispensabile agire subito attraverso leggi, piani, programmi e atti concreti non più rinviabili. Il nostro Paese dovrà essere tra i protagonisti delle scelte ambientali già dai due prossimi appuntamenti internazionali, la Conferenza sui Cambiamenti climatici di Sharm El-Sheikh (COP27) e la Conferenza sulla Diversità biologica di Montréal (COP15 CBD).

Continuare a non assumere il parametro ambientale come baricentro dell’azione politico-amministrativa sarebbe un errore fatale: non possiamo più permetterci di separare la questione ambientale da quella economica e non possiamo sacrificare l’ambiente per un momentaneo vantaggio economico di pochi a scapito di tutti gli altri.

 

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