Quando il 2 giugno La Verità ha titolato «Romagna sott’acqua? Non è colpa del clima», il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro poggiava su solide basi, quelle di un paper del World Weather Attribution, un’iniziativa di scienziati che quantificano come il cambiamento climatico influenzi o meno l’intensità e la probabilità di un evento meteorologico estremo. Lo stesso paper è stato ripreso da molti quotidiani (chi usando il condizionale, come La Stampa, «Lo studio sull’alluvione in Romagna: ecco perché (stavolta) non sarebbe colpa del cambiamento climatico», chi con tono assoluto, come Today, «La scusa del clima per mascherare le colpe dell’alluvione in Romagna») ed è finito anche a SkyTg24, che parla di «dubbi degli scienziati».

Lo studio citato come fonte, però, è contestato da un gruppo di scienziati che fanno riferimento al portale Climalteranti.it, in particolare Stefano Tibaldi, Vittorio Marletto, Luca Lombroso, Claudio Cassardo e Stefano Caserini, che in un articolo evidenziano alcune gravi limitazioni nello studio World Weather Attribution. Intanto, lo studio non è stato soggetto al processo di peer review (revisione dei pari), che viene effettuato prima della pubblicazione su una rivista scientifica. E infatti non è stato pubblicato. Tra i limiti, ad esempio, c’è il mancato utilizzo dei dati delle serie storiche come ne esistono in Emilia-Romagna. Quelli dell’Osservatorio geofisico di Modena, riconosciuto dall’Organizzazione meteorologica mondiale come stazione di osservazione centenaria, ha una serie storica di dati di precipitazione che iniziano nel 1830, e il 2 maggio 2023 è stato il giorno più piovoso mai registrato in maggio.

I DATI UTILIZZATI, invece, partono dal 1960 e in alcuni casi dal 1979, che «non sono un periodo molto lungo per effettuare l’analisi statistica di eventi che, nel clima non mutato dalle attività umane, avevano tempi di ritorno di 200 anni o più», come spiega l’articolo pubblicato su Climalteranti.it. Inoltre, l’analisi Wwa ha misurato la precipitazione media sull’intera regione Emilia Romagna cumulata su 21 giorni in primavera (aprile-maggio-giugno), ma «utilizzare la media su una zona così ampia porta a ridurre considerevolmente i picchi di precipitazione», in particolare considerando che sono stati tre gli eventi di forte precipitazione, nei giorni 1-2, 10 e 16-17 maggio, che hanno interessato una parte della regione, la parte centrale appenninica, in particolare a monte di Faenza, Forlì e Cesena.

LA MAPPA della precipitazione costruita sulla base del network dell’Agenzia regionale Arpae per il periodo cruciale di maggio molti valori di picco molto elevati, con molte aree con più di 500 mm come somma dei tre eventi, e singole stazioni con valori che vanno ben oltre i 600 mm, dati eccezionali che si perdono. Gli autori dell’articolo pubblicato su Climalteranti hanno contattato alcuni colleghi che hanno lavorato allo studio World Weather Attribution, che hanno confermano che esso non vuole in alcun modo negare il ruolo del riscaldamento globale sull’aumento degli eventi estremi sul Mediterraneo. Purtroppo, rilevano, «chi ha deciso quel titolo dello studio («Ruolo netto limitato del cambiamento climatico nelle forti precipitazioni primaverili in Emilia-Romagna», ndr) così netto e senza le necessarie precisazioni sui limiti dello stesso, poteva aspettarsi di essere strumentalizzato», di offrire contenuti ai negazionisti del cambiamento climatico e a chi pur non negando esplicitamente l’influenza delle attività umane sul clima, ne nega la gravità e l’urgenza delle azioni di mitigazione.