Il Nfp alla prova della destituzione. Dai socialisti il sì all’avvio della pratica
Parafrasando una massima del sociologo francese Pierre Bordieu, si potrebbe dire che l’unione delle sinistre est un sport de combat, è uno sport di combattimento. Alla festa de L’Humanité (il giornale del Partito comunista francese) che si è svolta questo weekend, gli alleati del Nuovo fronte popolare (Nfp) si sono presentati uniti, coscienti di dover affrontare un autunno che promette scintille, ma con divergenze sulla strategia da adottare, in particolare sulla procedura di destituzione del presidente della Repubblica lanciata da La France Insoumise.
Tra tutti i combats, infatti, questo è quello che terrà banco nei prossimi giorni. Oggi, l’ufficio della segreteria dell’Assemblée Nationale esaminerà «l’ammissibilità» della mozione di destituzione del presidente della Repubblica Emmanuel Macron presentata dai 72 deputati di Lfi, più una decina di altri provenienti dal gruppo ecologista e da quello comunista.
Con 12 deputati su 22, il Nfp possiede la maggioranza assoluta in questa particolare – e cruciale – istituzione parlamentare, che potrebbe dare un primissimo «via libera» a questa sorta di impeachment francese. Tuttavia, tre dei deputati in questione sono del Partito socialista, che ha annunciato ieri che voterà l’ammissibilità della mozione, nonostante la forte contrarietà espressa nelle scorse settimane rispetto alla strategia insoumis.
L’annuncio è giunto ieri sera, dopo una riunione durata diverse ore ai vertici del Ps. I socialisti voteranno a favore, recita un comunicato del partito diffuso ieri, «malgrado la risoluta opposizione» del partito alla destituzione, alla quale si opporrà «al suo esame in commissione e in plenaria», si legge nel comunicato.
Per i socialisti, tale procedura «rimetterà il presidente delle Repubblica al centro del dibattito pubblico, conferendogli una rinnovata legittimità», spiegano i socialisti, per i quali «il potere non è più all’Eliseo, ma in parlamento».
Una divergenza strategica di fondo, rispetto alla linea adottata da Lfi. Per gli insoumis, infatti, la «destituzione» è solo una parte della strategia di mobilitazione, alla quale si aggiungono le mobilitazioni di piazza prossime e venture. La prima il 21 settembre, chiamata da una serie di organizzazioni della «società civile» (tra le quali i sindacati studenteschi, Attac e Greenpeace), la seconda dalla Cgt per il primo ottobre.
Per il Ps, la destituzione «è votata al fallimento», si legge nel comunicato pubblicato ieri sera. L’iter è effettivamente lungo e complesso e, qualora tutti gli ostacoli venissero superati, prima del traguardo una tale misura dovrebbe essere votata dai due terzi dei membri di Camera e Senato. Quest’ultimo è governato da una maggioranza di senatori della destra «repubblicana» – una prospettiva che non annuncia successi facili e che ha permesso al segretario socialista Olivier Faure di dire, per esempio, che non era «la risposta» adatta al rifiuto di Macron di nominare Lucie Castets.
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