Il nostro impegno per fermare Putin non Tchaikosky
Guerra e pace A Bruxelles abbiamo organizzato un’audizione in Commissione cultura con intellettuali e esponenti di istituzioni culturali ucraine. Per spiegare le iniziative per ragazzi e ragazze in fuga, da ospitare in vari […]
Guerra e pace A Bruxelles abbiamo organizzato un’audizione in Commissione cultura con intellettuali e esponenti di istituzioni culturali ucraine. Per spiegare le iniziative per ragazzi e ragazze in fuga, da ospitare in vari […]
A Bruxelles abbiamo organizzato un’audizione in Commissione cultura con intellettuali e esponenti di istituzioni culturali ucraine. Per spiegare le iniziative per ragazzi e ragazze in fuga, da ospitare in vari Paesi, garantendo la continuità scolastica.
Così come cerchiamo di sostenere chi resta ricavandosi squarci di normalità nonostante le bombe russe. Stiamo potenziando massicciamente tutti i programmi utilizzabili per alleviare il dolore di studenti, formatori, artisti, creativi, giornalisti. Perché di questo si occupa la Commissione: istruzione, audiovisivo, libertà di stampa. Erasmus plus, Europa creativa, Corpo europeo di solidarietà, fino alla Nuova Bauhaus europea, programma per la rigenerazione e messa in sicurezza degli edifici pubblici. Tutte iniziative a disposizione della tragedia del popolo ucraino. Per l’oggi e per la ricostruzione.
Nessun dubbio dunque su aggressori, l’esercito russo, aggrediti, il popolo ucraino, e le responsabilità di Putin in questa escalation. Messe al sicuro le scelte che contano, cioè opportunità, risorse, velocità di iniziativa, abbiamo provato ad allargare la riflessione. Ad esempio abbiamo citato una intervista ad Oksana Leven, dirigente d’orchestra ucraina, in merito ad un regolamento del ministero della cultura ucraina che sottopone l’arte russa a sanzioni pesanti, compresi gli artisti ucraini che propongono repertorio russo, fino all’annullamento di un concerto su Tchaikosky.
Così come abbiamo provato a spiegare che la cultura lavora sul dialogo, i ponti, le differenze e che dovrebbe essere l’avamposto di una pace futura, che cura il linguaggio perché ne comprende la potenza pervasiva e distruttiva.
Abbiamo provato anche a interloquire con esempi concreti: se oggi esiste questa Europa fondata sullo Stato di diritto e la pluralità è perché nessuno ha mai confuso il popolo tedesco con la volontà egemonica annientatrice del nazional socialismo. Questo per ribadire che le responsabili della guerra, dei lutti, dei massacri sono del governo russo, di Putin, dei suoi generali. Non del popolo russo in quanto tale. Così come la Germania non è stata considerata sinonimo di nazismo.
A questo punto abbiamo trovato un muro. Di dolore certamente, ma anche di livore. Abbiamo provato a dire la nostra, il “dopo” guerra dipenderà anche da come agiamo nel “durante”; che Pertini corse inviperito a tirare giù da piazzale Loreto Mussolini e la Petacci, perché l’Italia nuova si costruiva in quei momenti e la si doveva edificare su basi diverse dallo squadrismo, dalla feccia, dai pogrom.
“Si diventa ciò che si odia” scrive un grande scrittore contemporaneo statunitense, Don Winslow. Lo sapevano bene i protagonisti della nostra Resistenza, le modalità con cui hanno combattuto erano già parte della futura Carta costituzionale.
Il confronto con Inna Sovsun, professoressa e vice ministro dell’istruzione e della Scienza dal 2014 al 2016, e Ivana Klympush-Tsintsadze, giornalista e ex vice ministro per l’integrazione europea ed euro atlantica, è stato durissimo. Le due intellettuali hanno tagliato corto: il loro nemico sono i russi, l’intero popolo, vogliono vedere in ginocchio quel Paese. Boicotteranno qualsivoglia espressione della cultura russa. Costruendo per questa via una riposta simmetrica al putinismo, al genocidio culturale si risponde con un altro genocidio. Alla sostituzione etnica con altra sostituzione. Esattamente come nella guerra della ex Jugoslavia. Esattamente come nell’assedio della Sarajevo multiculturale da parte dei serbi di Bosnia.
Siamo coscienti di quanta devastazione stia portando Putin in Ucraina. Quindi comprendiamo che per chi sta sotto le bombe non è facile ragionare. Ma noi europei invece dobbiamo svolgere un lavoro diverso, difficile, lasciando aperti piccoli ambiti di speranza. Sono questi i migliori semi di futuro. Combattendo ora una scia di veleni che altrimenti influenzerà anche l’Ucraina del dopo guerra. E con lei l’intera Europa. Siamo europei, respingiamo le semplificazioni, vogliamo società aperte, plurali, dinamiche, fondate sullo Stato di diritto e la valorizzazione di tutte le espressioni culturali.
I nostri resistenti hanno continuato ad ascoltare Beethoven, noi vogliamo continuare ad ascoltare Tchaikosky.
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