Il mito greco di Dioniso contro i pirati «europei»
Storia Nel 530 a.C. il grande Exekias, in uno dei manufatti più celebri dell’arte greca, la kylix di Dioniso, racconta il conflitto economico e politico tra la civiltà dei potenti etruschi e i Greci che, dopo il rapimento di Europa nel vicino Oriente, si proiettarono nel Mediterraneo per fondare nuove città
Storia Nel 530 a.C. il grande Exekias, in uno dei manufatti più celebri dell’arte greca, la kylix di Dioniso, racconta il conflitto economico e politico tra la civiltà dei potenti etruschi e i Greci che, dopo il rapimento di Europa nel vicino Oriente, si proiettarono nel Mediterraneo per fondare nuove città
La storia della vecchia Europa di Occidente è arrivata al capolinea. Se mai potrà rinascere è un destino a noi per ora ignoto.
Ma nel 530 a.C. il grande Exekias, in uno dei manufatti più celebri dell’arte greca, la kylix di Dioniso, ci ha lasciato un racconto carico di suggestioni. Un mito antico e una guerra commerciale.
È dipinta e incisa dentro la vasca della kylix (ovvero una coppa con anse) la storia che Exekias mostra di conoscere, il dio che trasforma in delfini i pirati etruschi che osarono catturarlo, raccontata nel settimo degli «Inni omerici».
Dioniso è disteso su una nave, con una vela bianca, che solca un mare rosso come il vino; tiene nella mano destra un recipiente a forma di corno (rython). L’inno racconta gli antecedenti: la divinità del vino e dell’ebbrezza, che stava su una spiaggia, catturata da uomini che governavano una nave ben costruita. Pirati, «predoni» che «avanzarono rapidamente sul livido flutto». Tirreni.
«Gonfiò il vento il mezzo della vela»
Poi ciò che vediamo nell’istantanea dipinta entro la vasca del vaso. La risposta divina non si fece attendere: «gonfiò il vento il mezzo della vela, intorno le funi si stesero: subito a essi apparvero cose meravigliose. Vino dapprima per la veloce nave nera dolce a bersi gorgogliò profumato, e sorse un odore immortale: stupore prese i naviganti tutti che vedevano. Subito lungo l’altissima vela si stese una vite qua e là, e pendettero molti grappoli: intorno all’albero si avvolse edera nera di fiori germinante, e un amabile frutto ne sorse». Finché i pirati Tirreni «la mala sorte evitando tutti insieme balzarono (….) e delfini divennero».
Un racconto affascinante che ho estratto dalla preziosa traduzione di Cesare Pavese. La magia della trasformazione di uomini in animali: come successe ai marinai di Odisseo, sempre la mediazione del vino, dalla maga Circe.
Trame economiche del nuovo Mediterraneo europeo emergono dal tragitto iconologico e geografico della scena. Quando i Greci rapirono al vicino Oriente Europa, figlia di un re fenicio – questione importante se il rapimento fu fatto da Zeus – si proiettarono verso nuove terre, soprattutto in Italia Meridionale (poi Megale Hellas, Magna Grecia) e Sicilia. Il mare già tracciato dai Fenici, che trovarono insediati in Sicilia, ricorda Tucidide, fra isolette e promontori. Incontrarono anche la Sardegna, ribattezzandola Ichnoussa (orma di piede): i favolosi nuragici vi erano alleati con le città fenicie. E soprattutto gli Etruschi. Il mare che dalla Toscana lambiva la Campania era quello dei Tirreni, mantiene ancora quel nome.
I racconti del mito, le favole, i mostri a guardia di grotte e passaggi, come Scilla e Cariddi in quello stretto di Messina che conduce al mare etrusco, sono generati dalle nuove storie economiche.
Quando Exekias crea la sua kylix, destinata ad un ignoto e potente signore etrusco di Vulci, Etruschi e Cartaginesi dominano il mediterraneo occidentale, assieme alle città greche coloniali e a quelle della terra madre (prima Corinto, poi Atene). Gran parte della ceramica greca più raffinata, legata al simposio, è stava trovata in Occidente, entro un mare dove si commerciavano olio, vino, unguenti e spezie, metalli e grano, nasceva la moneta; e preziosi oggetti di lusso, non sempre compresi, per élites emergenti che amavano adornare manufatti, corti e sepolture di segni orientali, egiziani, greci.
La libertà compositiva degli schemi
Uno spazio complesso, con le grandi civiltà formative dell’occidente (Greci, Fenici, Etruschi) interfacciate alle classi emergenti di civiltà indigene straordinarie, come quelle sarde, sicule e italiche: lo vediamo in ciò che sopravvive (è molto eppure ancora poco) nel mondo dell’immagine autocelebrativa, nello spazio fra Mont’e Prama e Capestrano.
Exekias racconta il mito con libertà compositiva che rompe gli schemi. Il mare, rosso come il vino, non ammette i limiti dei consueti cerchi centrali a racchiudere l’immagine prescelta. Come il vino può andare oltre al confine della vasca, dove le labbra si appoggiavano per bere, come il mare può suggerire lo spazio verso il limite del mondo conosciuto.
Non era un mondo di pace
Non è un mondo ideale, e neppure di pace. È carico di evoluzioni e guerre severe. Ma lo forma la grandezza della Grecia in Europa, la prima democrazia, le offerte di popoli e città di Occidente nel grande santuario panellenico e davvero mediterraneo di Delfi. Quando gli etruschi di Cerveteri lapidarono i prigionieri greci dopo la battaglia del Mare Sardonio, l’oracolo prescrisse un’offerta di riparazione.
L’Occidente europeo etrusco la compì. Si percepiva il senso dell’errore e l’idea che ripeterlo fosse sbagliato.
È piena di lezioni la kylix del maestro Exekias. Prodotta in Grecia e rinvenuta in Italia, è ora esposta allo Staatliche Antikensammlungen di Monaco di Baviera. Mi auguro che il suo racconto, rimandato dall’immagine riflessa del vino, non sia ancora finito.
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