Il ministro della cultura del Venezuela: «Serve una vittoria politica per sistemare la nostra economia»
Venezuela Intervista a Ernesto Villegas Poljak, giornalista e oggi ministro della cultura venzuelano: «Uscire dalla dipendenza petrolifera»
Venezuela Intervista a Ernesto Villegas Poljak, giornalista e oggi ministro della cultura venzuelano: «Uscire dalla dipendenza petrolifera»
Quando ci incontrammo per la prima volta era il 2003. Ernesto Villegas Poljak, nato a Caracas nel 1970, era già un giornalista molto conosciuto. Dagli studi della Tv pubblica «Venezolana de Televisión» (VTV) conduceva «En Confianza», seguitissima trasmissione dedicata soprattutto ai dibattiti e alle interviste politiche. All’epoca lavorava anche per emittenti radio e giornali, incluso «El Universal», quotidiano dell’opposizione. Almeno fino al golpe dell’aprile 2002 contro il presidente Hugo Chávez, evento che lo convinse a schierarsi con la rivoluzione bolivariana.
Al golpe è dedicato anche il suo libro più noto «Abril, golpe adentro» (Editorial Galac, 2009).
Tra i suoi lavori più recenti vanno menzionati «Buenos dias, Presidente» e «Golpe bajo» (Editorial Nosotros Mismos). Il suo esordio ufficiale in politica risale al 2012 quando Chávez lo nominò ministro della comunicazione e informazione. Dal novembre del 2017 è ministro della cultura per il governo di Nicolás Maduro.
Ministro, in Italia, in Europa e nel mondo occidentale in generale, il Venezuela gode di una pessima immagine. Come giornalista e come ministro, come spiega questo fatto?
Rispondo con Malcolm X: “Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone che vengono oppresse e amare quelle che opprimono.
Il presidente Maduro non sembra avere né il carisma personale né la forza intellettuale del presidente Chávez. Però tornerà a essere candidato nelle elezioni del 22 di aprile. Non sarebbe stato opportuno puntare su un nome differente?
Chávez è Chávez e Maduro è Maduro. Se fosse un cattivo candidato, l’imperialismo lo lascerebbe in pace in modo tale da crollare. In realtà, e al di là della satanizzazione e degli stili personali, dopo Chávez è l’uomo che ha portato molte vittorie al fronte della Rivoluzione bolivariana. Manca la vittoria in campo economico, per ottenere la quale è necessario prima vincere queste elezioni presidenziali e chiarire ogni dubbio sul potere politico. Sarà il popolo venezuelano a dire l’ultima parola.
Negli Stati Uniti, in Europa, ma anche in molti paesi dell’America latina si descrive l’opposizione venezuelana come democratica e il governo Maduro come dittatoriale. In Italia, Lilian Tintori e suo marito Leopoldo López sono quasi degli eroi. Dove sta la verità?
Insisto con Malcom X. Bruciare le persone vive, incendiare le università o attaccare le maternità, come ha fatto l’opposizione “democratica” in Venezuela, non mi sembra una cosa eroica. Ma, certamente, la disinformazione intorno al mio paese è brutale. Viene imposta una storia unica, in stile Hollywood, che sacrifica la verità per soddisfare il copione “dei buoni e dei cattivi”. Il cartello dei media capitalisti esercita il suo potere per preparare l’opinione pubblica a un “happy end” interventista. Nulla di felice per il popolo, ma molto per le multinazionali del petrolio e il capitalismo globale. Chi si ricorda o si preoccupa oggi del popolo della Libia? Di Haiti, Afghanistan, Iraq? Nessuno.
Qualche settimana fa la Rai, la televisione pubblica italiana, ha trasmesso un reportage di un’ora titolato “Venezuela anno zero” (8 gennaio 2018). Si sono viste schiere di venezuelani ridotti allo stremo. Senza cibo, senza medicinali, senza cure mediche.
Non posso commentare qualcosa che non ho visto. Ma non sono sorpreso. Certamente le ferite sofferte dal popolo venezuelano sono terribili. Sono ferite di guerra. La strategia economica degli Stati Uniti contro il Venezuela obbedisce apertamente a una logica di guerra. La gente ha resistito eroicamente.
[do action=”citazione”]Eroi ed eroine non sono quelli che costruiscono media e politici per catturare l’opinione pubblica. Sono milioni di umili venezuelani che non hanno ceduto agli effetti di un terribile blocco economico-finanziario e della persecuzione.[/do]
I numeri dicono che oggi in Venezuela c’è un’inflazione del 2.600-2.700% all’anno (dati 2017). Di chi è la responsabilità? Del governo o si tratta veramente di una guerra economica?
Con Obama ci fu una guerra non dichiarata. Hanno cominciato ad applicare codici non scritti per accerchiare l’economia venezuelana. Obama ha emesso un ordine esecutivo che ha dichiarato il Venezuela come una minaccia per gli Stati Uniti. Una cosa assurda per i più. Oggi Trump ha praticamente dichiarato guerra su tutti i fronti. Trump ha parlato apertamente di applicare una “opzione militare”. E il suo segretario del Tesoro ha parlato apertamente di “soffocare” l’economia venezuelana. Probabilmente in futuro si declassificheranno i documenti che comproveranno quanto l’attacco alla nostra moneta, il bolivar, sia stato parte di un copione macabro di fattura statunitense e con la Colombia come strumento e base operativa. Tutto questo non significa però che non ci siano cose da correggere, da parte del Venezuela, nella gestione della propria economia. Proprio per questo abbiamo bisogno di una vittoria politica che spiani la strada. La stabilità di un nuovo mandato presidenziale dovrebbe contribuire a una stabilità economica che noi tutti desideriamo.
Ministro, mi permetta: gli scaffali dei supermercati venezuelani sono troppo spesso vuoti. Come mai?
La scomparsa e / o l’aumento brutale dei prodotti, come conseguenza dell’attacco identicamente brutale alla nostra moneta, è parte del boicottaggio economico contro il Venezuela. I prodotti a prezzi regolati scompaiono rapidamente e gli altri, a prezzi stratosferici, rimangono più a lungo sugli scaffali. È necessario ricordare che Chávez, e ora Maduro, sono stati i presidenti che erano più preoccupati per il cibo del popolo venezuelano. Chávez ha creato il ministero dell’Alimentazione, scuole doppio turno bolivariani compresi i pasti scolastici, le case di alimentazione per i più umili, Mercales, Mercalitos e Pdvales, tra le altre iniziative, investendo grandi somme di denaro nel settore alla ricerca della sovranità alimentare. Maduro, nonostante il calo dei prezzi del petrolio, ha creato il CLAP (Comités Locales de Abastecimiento y Producción) e la “Grande Missione per il rifornimento sovrano” per portare il cibo direttamente alle famiglie, nel tentativo di aggirare i meccanismi della distribuzione privata. Per ridurre la speculazione, l’accaparramento e il boicottaggio, che sono economici ma più recentemente politici. I venezuelani vogliono sconfiggere l’aggressione economica non solo perché i supermercati siano riforniti, ma perché i diritti e i bisogni della gente siano soddisfatti. Il primo obiettivo non è sempre accoppiato con il secondo su un pianeta caratterizzato da disuguaglianza ed esclusione.
Lo scorso novembre ero a Lima. Per la prima volta, ho incontrato tanti venezuelani. Lavoravano come taxisti, nei ristoranti o per le strade.
L’attacco al bolivar è, in ultima istanza, un attacco al salario dei venezuelani. Emigrare per motivi economici è diventato un’opzione per i compatrioti che inviano rimesse ai loro parenti in Venezuela, come durante la storia passara hanno fatto tanti italiani, portoghesi e peruviani, per citare solo tre nazionalità, quando la crisi economica nei loro paesi d’origine li spinse a tentare la fortuna fuori dai loro confini. Nonostante i pregiudizi e le stigmate, i venezuelani sono persone che lavorano, che si alzano molto prima dei cittadini di altri paesi per studiare e lavorare. Molte volte hanno due o tre posti di lavoro. Il diritto all’educazione, ampliato al tempo della Rivoluzione bolivariana, si traduce in un prezioso capitale umano che – è una certezza – viene usato dai capitalisti di altri paesi per sfruttare gli immigrati venezuelani. Pagano meno rispetto ai loro cittadini e i venezuelani accettano perché, in presenza dell’attacco al bolivar, con le poche valute straniere che inviano come rimesse dall’estero riescono ad aiutare le loro famiglie ad attenuare gli effetti della guerra economica. Sono cicli che vivono le nazioni. Abbiamo milioni di colombiani che vivono in Venezuela. Ricordo che molti italiani e portoghesi hanno trovato rifugio qui e hanno cresciuto le loro famiglie guidando un taxi o lavorando in ristoranti e negozi. Questo non è indegno. Il lavoro nobilita.
L’economia venezuelana si fonda totalmente sul petrolio. La compagnia pubblica Petróleos de Venezuela (PDVSA) ha però una pessima reputazione a causa di inefficienze e corruzione. Risponde al vero quest’accusa?
La cattiva reputazione ce l’hanno la maggioranza, per non dire tutte, le imprese transnazionali. La Petróleos de Venezuela non sfugge a fenomeni corruttivi. Proprio per questo, con il sostegno del presidente Maduro, una grande campagna anti-corruzione è stata lanciata dall’ufficio del procuratore generale (Tarek William Saab, ndr). Qualcosa che non si fece, per inciso, quando era a capo la ex procuratrice generale (Luisa Ortega Díaz, ndr), presentata dal cartello dei media capitalisti come un’eroina da telenovela. Accanto, perdipiù, a Lilian Tintori e Leopoldo López, proprio lei che aveva messo in galera López, per aver organizzato l’ondata di violenze del 2014.
A parte i problemi di PDVSA, come fare per diversificare un’economia totalmente dipendente dal petrolio?
Per quanto riguarda la diversificazione dell’economia venezuelana non è solo una necessità, ma anche un argomento che genera consenso. Penso che nessuna persona ragionevole in Venezuela pensi di poter continuare a dipendere esclusivamente dal petrolio.
[do action=”citazione”]C’è un campo immenso in cui i venezuelani possono raggiungere accordi, attraverso il dialogo, per la costruzione di un modello economico diversificato che però metta sempre davanti l’essere umano.[/do]
Leggendo i media e le statistiche, parrebbe che il Venezuela sia un paese con alti se non altissimi livelli di criminalità comune. Com’è la situazione?
A costo di essere ripetitivo per la terza volta insisto su Malcom X. Prima delle bombe e dei marines, i primi attacchi ai paesi che stanno nelle mire imperialiste vengono dal cartello dei media transnazionali. Non vorrei maltrattare paesi fratelli, ma la Colombia è il più grande fossa comune della terra e il Messico, invece di essere entrato nel Primo mondo, come prometteva il trattato di libero scambio con gli Stati Uniti, oggi più che mai è nelle mani del narcotraffico. Nessuno nega i problemi che abbiamo in Venezuela in materia di sicurezza dei cittadini, esacerbati dalle infiltrazioni dalla Colombia e dalla politica di “caotizzazione” interna promossa dall’opposizione filo-Usa. Ma c’è un paradosso: i piani e le azioni del governo Maduro per affrontare il crimine sono condannati dall’opposizione e dai suoi media come violazioni dei diritti umani. Ora, il modo migliore per dare il giusto peso al fenomeno è di venire in Venezuela, un paese unico.
La maggioranza dice che la nuova Assemblea nazionale costituente (Anc) è illegale, un organo inventato per escludere l’opposizione. Come risponde?
Di che maggioranza stiamo parlando? L’Asamblea Nacional Constituyente è stata riconosciuta anche da tre governatori eletti dall’opposizione nelle elezioni regionali dello scorso 15 ottobre. I tre hanno giurato davanti all’Anc.
Il Venezuela di Maduro ha buone relazioni con Cuba, Nicaragua, Bolivia, Russia, Cina ed Iran. Però sono cattive o pessime con gli Stati Uniti e l’Europa. Che strategie persegue il suo paese nel campo delle relazioni internazionali?
Il Venezuela vuole relazioni rispettose con tutti i paesi in un mondo multipolare, senza egemonie. In primis, scommettiamo sulla pace.
I proprietari dei media venezuelani sostengono che le leggi sulla televisione e i mezzi di comunicazione li danneggiano. Come giornalista, come risponde a queste critiche?
Immagino che si riferisca alla Legge di responsabilità sociale nei mezzi di comunicazione radiofonici, televisivi e elettronici (legge del 7 dicembre 2004 che prevede anche la “cadena obligatoria y gratuita” di messaggi governativi, ndr). Invito le parti interessate a leggerlo su Internet e confrontarlo con le leggi dei paesi europei in materia. Se invece intende la Legge contro l’odio (Ley Constitucional contra el Odio, por la Convivencia Pacífica y la Tolerancia, novembre 2017, ndr), dovrebbe prima rivedere una norma simile recentemente approvata in Germania (è la legge contro l’hate speech e i post offensivi sui social network dell’ottobre 2017, ndr). Il cartello dei media capitalisti vuole sempre decidere cosa è male e cosa è buono e non necessariamente coerente. La Merkel è raffigurata come un democratico democraticamente rieletto più volte mentre Evo Morales come un ignorante dittatore indigeno che vuole perpetuarsi al potere.
La Chiesa cattolica venezuelana, in primis la sua gerarchia, è da sempre un nemico giurato del governo bolivariano. A tal punto che nell’aprile del 2002 appoggiò palesemente il golpe contro il presidente Hugo Chávez. Come spiegare questo suo comportamento?
Il volto arcigno di Papa Francesco quando ha ricevuto (nel giugno 2017, ndr) la gerarchia cattolica venezuelana a Roma dice tutto. Accanto a quella cupola ecclesiastica, un conservatore come Ratzinger sembrerebbe un marxista-leninista. In generale, con poche eccezioni, i vescovi venezuelani sono persone molto arretrate, molto di destra.
[do action=”citazione”]Uno di loro, il cardinale Velasco, possa Dio averlo in gloria, firmò l’atto di nomina dell’uomo d’affari (Pedro Carmona, ndr) che guidò il golpe contro Chávez nel 2002.[/do]
A parte le sue speranze personali, in sua opinione, quale sarà il futuro del Venezuela?
Lottiamo per un futuro di pace, stabilità, inclusione e giustizia sociale per tutti i venezuelani, in particolare per i lavoratori. Un futuro con un Venezuela indipendente e sovrano, con un sistema economico protetto dagli attacchi esterni e dalla dipendenza.
Teme per la sua vita e per la sicurezza della sua famiglia?
Ogni giorno ricevo esplicite minacce di morte dagli stessi settori che il cartello dei media capitalisti mostra come eroi e democratici pacifisti. Ma a loro non farò il piacere di paralizzarmi o di rinnegare per paura i miei sogni e ideali. Credo nel potere della parola e della politica nel suo senso migliore. Voglio che tutte le famiglie, comprese quelle dei miei avversari e la mia, possano vivere in un paese libero, equo, diversificato e democratico, senza sfruttati o sfruttatori, senza distinzioni o esclusioni. La mia personale vendetta, parafrasando Tomas Borge, sarà che i loro figli e i miei crescano sani e allegri in un paese in cui gli esseri umani non siano merce.
* Giornalista. Ultimo saggio: «O Encontro», con Corrado Dalmonego (Paulinas Editora, São Paulo, Brasil, dic. 2017) su Yanomami e missionari.
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