ExtraTerrestre

«Il miele di dio» dei mennoniti e dei Maya messicani

Una storia complessa – «molto più di come appare» – quella che racconta la fotoreporter statunitense Nadia Shira Cohen (Boston 1977, dal 2007 vive a Roma), «dove non ci sono […]

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 9 maggio 2019

Una storia complessa – «molto più di come appare» – quella che racconta la fotoreporter statunitense Nadia Shira Cohen (Boston 1977, dal 2007 vive a Roma), «dove non ci sono buoni e cattivi». Per lei che per la prima volta ha preso in mano la macchina fotografica all’età di 15 anni, nello stesso momento in cui le fu diagnosticato un cancro (proprio l’autoritratto e la documentazione delle trasformazioni fisiche del suo corpo, durante il trattamento, le hanno dato grande forza nel combattere la malattia) la fotografia non è mai fine a se stessa. Con la serie God’s Honey è stata insignita del 2° premio Reportage nella sezione Ambiente del World Press Photo 2019. Una selezione di sei fotografie è esposta al Palazzo delle Esposizioni di Roma (fino al 26 maggio), dove è allestita in collaborazione con 10b Photograph la prima tappa della mostra del World Press Photo, il più importante contest di fotogiornalismo al mondo. Per realizzare il «miele di Dio», Nadia Shira Cohen si è recata, con la collaborazione della ong ecologista Amlo e il supporto di un grant dell’International Women’s Media Foundation, nello stato di Campeche, nella penisola dello Yucatán in Messico.

Ci sono volute tre settimane, tra ottobre e novembre 2018, per realizzare insieme alla giornalista Nina Strochlic il reportage, pubblicato ad aprile scorso dal National Geographic. Vittime del sistema sono da una parte i nativi Maya che da millenni producono un miele particolarmente prelibato e particolarmente ricercato (nell’Ue ne venivano esportate circa 15 tonnellate l’anno), ma che nel tempo ha perso valore per via della contaminazione con la soia geneticamente modificata. Dall’altra c’è la comunità dei mennoniti, la più numerosa delle chiese anabattiste, costituita da grandi lavoratori agricoli sempre alla ricerca di terra fertile a basso costo. Due culture e due stili di vita diversi che s’intercettano nel territorio messicano. «All’inizio i mennoniti coltivavano soia non genetica – spiega la fotografa – poi è entrata in scena Monsanto e con la richiesta di un margine di profitto sempre più alto sono passati alla soia gm. Dal 2015, benché sia stata dichiarata illegale, con grande impunità si continua a piantare la soia gm. Ma nella Giornata Mondiale dell’Alimentazione il nuovo presidente Obrador ha espresso l’impegno nel creare una zona libera dagli Ogm».

L’altro grande problema che sta stravolgendo l’ecosistema di questa bellissima parte di mondo è la deforestazione (stando a Global Forest Watch nel 2017 si sarebbero persi 173 mila acri di foresta), lì dove le api della specie Melipona beechi si sono sempre nutrite. A Tinúm, in mezzo alla foresta, con un controluce particolarmente suggestivo in cui i raggi del sole penetrano tra gli alberi, Nadia Shira Cohen ha realizzato una delle immagini più evocative. Gli apicoltori sono intorno alle arnie, sul calare della giornata, impegnati in un momento molto delicato in cui controllano gli alveari. «Il miele porta ricchezza, ma è anche un lavoro stagionale. La gente del posto soffre nei mesi in cui non c’è». Questa è una delle ragioni per cui i locali vendono le terre ai mennoniti che si sono insediati in Messico a partire dagli anni ’20, provenienti dal Canada dopo aver lasciato l’Europa dell’Est, la Russia e l’Ucraina. Nel Campeche oggi vivono circa 10 mila mennoniti in una dozzina di colonie, mantenendo il loro stile di vita fuori dal tempo. Sia i maya che i mennoniti hanno un rapporto molto forte con la natura. Della popolazione autoctona Nadia Shira Cohen racconta le storie di alcuni apicoltori e le cerimonie sacre. Con lo stesso sguardo neutro si sposta sui grandi appezzamenti di terra coltivati a soia, cogliendo i rituali del quotidiano dei mennoniti: Ana Ham mentre pulisce la testa di un maiale scannato, il piccolo Peter seduto sul track del padre durante la raccolta a Nuevo Durango.

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