Il Memorandum Italia–Libia non va né rinnovato, né migliorato: l’intervento umanitario è simbolico e funge da copertura dei crimini.

A distanza di quasi 6 anni dalla sua sottoscrizione il bilancio non potrebbe essere più chiaro: l’accordo è la colonna portante della perpetuazione di crimini in terra e mare e per la strutturazione di un sistema di detenzione e sfruttamento collegato alle operazioni di soccorso. La missione d’inchiesta indipendente delle Nazioni unite ha definito le violenze commesse in Libia crimini contro l’umanità e non ha nascosto la sua volontà di indagare le responsabilità dei Paesi membri dell’Unione europea per il coinvolgimento in tali crimini.

A questo proposito le responsabilità dell’Italia appaiono palesi ed indiscutibili. Attraverso il Memorandum il governo italiano ha rafforzato ed equipaggiato le autorità libiche affinché le stesse potessero controllare le proprie frontiere, impedire le partenze, rintracciare e riportare i cittadini stranieri in fuga sul territorio libico e quindi nei centri di detenzione.

Non si tratta solo di motovedette, formazione, equipaggiamento ma soprattutto della presenza di una nave della Marina Militare che, con a bordo militari italiani, è ormeggiata da anni al porto di Tripoli e svolge funzioni di coordinamento delle operazioni di soccorso forzato operate dalla Guardia costiera libica.

Agli occhi della Commissione europea il Memorandum ha raggiunto i suoi scopi. Da un lato gli arrivi sulle coste italiane sono crollati del 95% (non si sa se questo dato corrisponda anche ad un crollo del numero delle partenze perché a causa dell’arretramento delle operazioni di soccorso va alla deriva un numero molto alto di imbarcazioni), dall’altro il memorandum è stato approvato e tutt’ora sostenuto dai partiti e dall’elettorato sia di centro destra sia di centro sinistra. La genesi politica ed il contenuto di questo accordo ci permette di comprenderne le ragioni. Il Memorandum è stato sottoscritto dall’allora primo ministro Gentiloni e negoziato da Minniti, ex ministro dell’Interno, nell’ambito di precise richieste provenienti dalla Commissione europea che – come per il caso della Grecia – ha dato mandato ad uno dei governi più deboli del gruppo comunitario di compiere un atto particolarmente ignobile.

In tale contesto, si è reso necessario introdurre nel testo del Memorandum dei meccanismi di salvaguardia dei cittadini stranieri che si trovano in Libia al fine di riportare l’accordo all’interno di una cornice democratica. Nel testo dell’accordo, pertanto, da un lato vi sono i dichiarati obblighi di rispetto dei diritti umani che le parti sono tenute ad osservare (articolo 5). Questa clausola rappresenta un impegno formale, mai rispettato, senz’altro priva di vincoli. Basta infatti considerare che agli esempi di eclatanti e sistematiche violazioni il governo italiano non ha mai neppure minacciato la controparte di voler recedere dall’accordo.

Dall’altro vi è il mandato di supervisione dei diritti umani affidato alle organizzazioni internazionali Oim e Unhcr e l’incarico alla cooperazione italiana di miglioramento delle condizioni di accoglienza (detenzione) dei cittadini stranieri intercettati e riportati sulla terraferma (art. 2). Sebbene le organizzazioni internazionali abbiano ricevuto ingenti finanziamenti per favorire l’evacuazione delle persone rifugiate verso i paesi Ue o degli altri cittadini stranieri verso i loro paesi di origine la portata del loro intervento si è rivelata minima e comunque sottoposta alle regole imposte dalle autorità libiche. Ugualmente alcune Ong italiane nell’ambito dei programmi di Aics (l’Agenzia per la cooperazione italiana) hanno partecipato nel 2017 al bando indetto dall’allora viceministro degli Esteri Mario Giro per interventi nei centri di detenzione. Questi progetti oltre che essere oggetto di un esposto alla Corte dei Conti, non hanno raggiunto gli scopi previsti considerato che a distanza di anni le violazioni commesse nei centri di detenzione sono sistematiche e denotate da efferatezza crescente.

Senza dubbio è possibile dire che l’obiettivo di riportare il Memorandum all’interno di meccanismi democratici tramite questi due interventi non è stato raggiunto. Ciò non poteva che essere così considerato l’intervento umanitario fin dall’inizio è stato pensato nell’impianto del Memorandum per giustificare e acquietare gli animi di chi si sarebbe opposto ad un simile accordo, i quali incredibilmente hanno ritenuto queste promesse sufficienti.

Anzi, l’intervento umanitario è stato platealmente strumentalizzato per l’approvazione e il sostegno al Memorandum che invece si è rivelato mezzo efficace e potente per la commissione di crimini di portata internazionale. Gli strumenti umanitari sono inseriti nel Memorandum come fallaci clausole di bilanciamento di un accordo militare che ha come scopo la commissione di violazioni. E’ in tale contesto che il Memorandum non può essere modificato o migliorato. Perché di fronte agli scopi che si intendono raggiungere non c’è strumento da introdurre per riportarlo in una cornice democratica se non quello della sua immediata abrogazione.