«Riportare i migranti in Libia significa riportarli all’inferno» avvertiva nel 2017 Mario Giro, all’epoca viceministro degli Esteri del governo Gentiloni. Eravamo ad agosto, pochi mesi dopo che, a febbraio, il premier italiano aveva firmato con l’omologo libico Fayez al Serraj il Memorandum Italia-Libia, lo stesso di cui in questi giorni si discute il rinnovo. «I migranti finiscono nelle mani delle milizie che ne approfittano per fare i loro commerci» spiegava ancora Giro denunciando, in controtendenza con i suoi colleghi di governo, quanto accadeva a quegli uomini, donne e bambini che, dopo essere stati fermati nel Mediterraneo dai libici, finivano di nuovo nei centri di detenzione del Paese nordafricano. Vittime di violenze che – grazie alle numerose denunce delle organizzazioni internazionali – tutti conoscevano ma si preferiva non vedere. «All’epoca la situazione era già chiara, già si avevano notizie di torture e che quei campi fossero un inferno era chiaro a tutti» spiega oggi l’ex viceministro, tra i fondatori di Democrazia solidale. «Mi sembrò giusto rilevarlo dall’interno del governo, così come mi sembrò giusto far notare che si abbandonava l’ipotesi di ricostruire lo Stato libico chiedendo a una parte, pur riconosciuta dalle Nazioni unite, solo di trattenere i migranti. Siamo stati presi, un po’ come tutti in Europa, dall’ossessione migratoria e abbiamo smesso di fare politica estera. Come accade in parte ancora oggi».

Alla luce di quanto si è saputo in questi anni, è giusto rinnovare il Memorandum con la Libia?
No, e spero che avendo chiesto delle modifiche ci sia un negoziato serio. C’è da fare un discorso etico, della civiltà del diritto per cui non possiamo permetterci di trattare con i trafficanti, questo è evidente, ma c’è anche un discorso politico che è quello di chiedersi qual è l’interesse nazionale dell’Italia. E la risposta è che l’interesse nazionale dell’Italia è di avere di fronte a sé uno Stato unitario. E’ difficile arrivarci? Certo, ma bisogna mettersi d’accordo con i francesi, poi con gli altri “padrini”, Turchia, Russia, Egitto, e ricostruire una Libia unitaria. Questi capi milizie devono essere presi come protagonisti non di uno Stato, perché non lo sono, bensì di un negoziato che si è interrotto nel 2015 a Skhirat, in Marocco, e che deve riprendere per arrivare alla sua conclusione. In ogni caso da quel Memorandum lì a oggi c’è di mezzo una guerra e quindi tutto è cambiato e tutto si deve rifare.

Il Memorandum tra l’altro non mai stato discusso dal parlamento.
E’ vero e non è normale. Mi rendo conto che oggi la situazione è completamente cambiata, all’epoca l’iniziativa fu presa sull’onda dell’emotività che non è mai una buona consigliera.

Oggi il governo vorrebbe che Unhcr e Oim avessero un controllo maggiore su quanto accade nei centri libici.
Questo si disse anche all’epoca ma non si è fatto, perché abbiamo a che fare con realtà non statuali, milizie che fanno un po’ quello che vogliono. Prendiamo per un attimo sul serio i criteri con cui i libici giudicano questa situazione. Loro dicono: con le nostre leggi non riconosciamo i migranti come rifugiati e quindi li deteniamo. Se li detengono vuol dire che per loro sono un peso. Bene se è così ce li diano, li consegnassero alla comunità internazionale in modo da poter fare un grande piano di rimpatri. Quelli che hanno diritto secondo le norme vigenti di venire in Europa possono fare richiesta di asilo. Se ne liberino. Se non lo fanno allora vuol dire che non è vero quello che dicono, ma che stanno usando i migranti come ostaggi nei nostri confronti o come merce di scambio, o come schiavi.

Pochi mesi dopo la firma del Memorandum lei provò a fare quello che il governo vorrebbe fare oggi, ovvero a inviare nei centri gestiti dal governo libico le ong per garantire il rispetto dei diritti umani. Aderirono sette organizzazioni. Che fine ha fatto quel progetto?
Alcune di quelle ong in Libia ci sono ancora, sono andate avanti, hanno fatto quello che potevano. Certo si tratta di un lavoro difficilissimo, una goccia nel mare che non è sufficiente perché quei centri andrebbero svuotati e basta.

Però le stesse Unhcr e Oim lamentano difficoltà nel lavorare nei centri, figuriamoci una ong.
Certo, ma succede proprio perché questi si comportano come capi milizie e non come uno Stato libico o un governo. Basta con questa finzione, l’unica cosa che differenzia Serraj e i suoi da Haftar e gli altri è che almeno Serraj aveva firmato l’accordo di Skhirat, ma quattro anni dopo non è più sufficiente.

Riconduce il problema migranti alla necessità di mettere fine alla guerra e ricostruire uno Stato libico.
Certo, solo così avrai un interlocutore.

Nel frattempo non sarebbe meglio smettere di finanziare la guardia costiera libica?
Da quello che so questi finanziamenti vengono mal percepiti dall’altra metà della Libia, hanno dato solo frutti cattivi e certamente non aiutano. Ma bisogna dare un’alternativa, per questo dico rimettiamoci a fare politica e smettiamola con questa ossessione migratoria che è solo un velo davanti al nostro volto, e ce l’hanno tutti i Paesi europei.

Il ministro Di Maio parla di 700 mila migranti presenti in Libia.
Nessuno sa quanti sono i migranti in Libia, vogliamo dircelo una volta per tutte? Duecentomila, quattrocentomila, cinquecentomila, un milione, in questi anni si sono dette le cifre più diverse ma chi è andato a vedere? Nessuno. Prima di parlare di cifre sarebbe logico sapere chi torna a casa, chi rimane in Libia perché magari ci ha lavorato. A volte i trafficanti obbligano persone che si trovano lì da decine di anni a partire come fossero dei profughi quando questi non hanno nessuna intenzione di andarsene. Non dimentichiamoci che la Libia è un Paese che aveva moltissimi immigrati, perché era un Paese ricco.