Internazionale

Il massacro di leader sociali ed ex Farc è un «genocidio politico»

Il massacro di leader sociali ed ex Farc è un «genocidio politico»Bogotà, 21 settembre 2020. Una protesta contro il massacro – Ap

Governo di Bogotà sotto accusa Caso Colombia al centro della 48ma sessione del Tribunale permanente dei popoli che si apre oggi

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 26 gennaio 2021

È dedicata al «genocidio politico» in Colombia la 48ma sessione del Tribunale permanente dei popoli (Tpp), tribunale internazionale di opinione fondata da Lelio Basso nel 1979 in diretta continuità con i Tribunali Russell sul Vietnam (1966-67) e sull’America Latina (1973-76).

È la terza volta che il Tpp, che ha sede a Roma proprio presso la Fondazione Lelio e Lisli Basso, si occupa del caso colombiano, dopo averlo già analizzato nel 1991, nell’ambito della sessione sull’impunità dei crimini di lesa umanità in America Latina, e nel triennio 2006-2008, in relazione al tema della violazione dei diritti dei popoli da parte delle imprese transnazionali.

La sessione di quest’anno, che sarà inaugurata oggi in maniera virtuale con la presentazione dell’atto di accusa e l’apertura formale del processo (che avrà luogo tra il 25 e il 27 marzo), risponde a una richiesta avanzata da ben 126 organizzazioni e oltre 170 difensori dei diritti umani, artisti, intellettuali e personalità politiche del paese.

E le accuse su cui i giurati, tra i quali Luciana Castellina e Luigi Ferrajoli, saranno chiamati a pronunciarsi sono quelle relative al genocidio politico nei confronti dei rappresentanti di movimenti sociali e indigeni e di organizzazioni politiche, ai crimini contro la pace commessi dopo la firma del calpestato Accordo tra le Farc e lo stato colombiano e all’impunità che li ha accompagnati.

Accuse che l’Alta commissaria Onu per i diritti umani Michelle Bachelet, nella sua dichiarazione del 15 dicembre, si è ben guardata dal rivolgere allo stato colombiano, attribuendo l’aumento della violenza contro contadini, indigeni e afro-colombiani a non meglio precisati «gruppi armati non statali» e limitandosi a sollecitare le autorità a intraprendere «azioni concrete per proteggere la popolazione in maniera efficace».

Come se non fosse direttamente riconducibile allo stato colombiano il bagno di sangue tuttora in corso nel paese – «una fossa comune con inno nazionale» -, con i suoi 1.125 leader sociali assassinati dalla firma della pace nel 2016, i 251 ex guerriglieri uccisi nello stesso periodo e i 95 massacri commessi dal 2020. Senza contare le vittime della repressione esercitata dagli organi statali, come quella violentissima contro le proteste dello scorso settembre in seguito alla morte di Javier Ordóñez, ucciso dalle scariche elettriche e dai colpi inferti da due agenti della polizia di Bogotà.

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