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Il massacro dei Massalit nel Darfur Tribù arabe e Rsf sotto accusa

Il massacro dei Massalit nel Darfur Tribù arabe e Rsf sotto accusaIl campo Zabout per rifugiati sudanesi a Goz Beida, in Ciad – Ap

Guerra in Sudan Rapporto di Hrw sui fatti del 28 maggio a Misterei: «Attacco e atrocità contro i civili». Fallita l’iniziativa saudita e Usa per il cessate il fuoco. Allarme Onu per 2 milioni di profughi

Pubblicato circa un anno faEdizione del 13 luglio 2023

Human Rights Watch (Hrw) ha pubblicato questo martedì un rapporto sugli abusi avvenuti lo scorso 28 maggio nella città di Misterei, situata nel Darfur occidentale vicino al confine con il Ciad. Hrw ha raccolto le testimonianze di una cinquantina di sopravvissuti fuggiti ad Adré, nel vicino Ciad che, insieme alle immagini satellitari raccolte, evidenziano l’entità del disastro con numerose aree della città e i villaggi limitrofi completamente distrutti e bruciati.

Misterei è popolata principalmente dai Massalit, uno dei grandi gruppi etnici non arabi del Darfur, regione del Sudan occidentale che era già stata segnata da una guerra civile negli anni 2000 e dove i combattenti arabi hanno regnato a lungo nel terrore. Il divario etnico si è ulteriormente allargato in questa regione dall’inizio del conflitto che vede contrapposti da una parte le Forze di supporto rapido (Rsf) del generale Mohamed Hamdane Dagalo, detto Hemeti, e l’esercito guidato del generale Abdel Fattah al-Burhan.

«Le tribù arabe insieme alle Rsf hanno sommariamente ucciso e ferito decine di civili il 28 maggio nello stato del Darfur», indica Human Rights Watch in questo rapporto investigativo dal titolo Sudan: una città del Darfur distrutta, in cui indica che a Misterei «gli aggressori hanno costretto i residenti ad andarsene attraverso un’azione punitiva contro l’etnia Massalit e si sono ritirati dalla città dopo diversi giorni, lasciando dietro di sé circa 100 morti civili».

«I FATTI ERANO CHIARI: si trattava di un attacco e di atrocità commesse contro una popolazione civile», spiega Jean-Baptiste Gallopin, ricercatore di Human Rights Watch specializzato in Sudan. Contattato da Radio France International ha esortato il Consiglio di sicurezza Onu a chiedere a coloro che sono coinvolti nel conflitto nel Darfur occidentale di consentire l’accesso alle organizzazioni umanitarie «senza restrizioni e in completa sicurezza», chiedendo anche alle Nazioni Unite, all’Unione europea (Ue) e all’Unione africana (Ua) di sanzionare i responsabili di queste atrocità per «crimini di guerra».

In una dichiarazione di questo lunedì lo stesso segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, si è detto «costernato dalla violenza degli scontri che stanno colpendo civili inermi in tutto il paese», indicando che il Sudan sia ormai «sull’orlo di una guerra civile totale» con scontri diffusi registrati non solo a Khartoum, ma anche ad ovest nel Darfur, nel nord e nel sud del Kordofan, così come nello stato del Nilo Azzurro con un «totale disprezzo per i diritti umani».

«Serve urgentemente una negoziazione per uscire da questa crisi umanitaria che vede quasi 2 milioni di profughi» – ha indicato Guterres, dopo che in questi 3 mesi è miseramente fallita l’iniziativa saudita e americana per un cessate il fuoco, come i nove accordi ottenuti e non rispettati dalle due parti.

Per l’ambasciatore Usa John Godfrey, evacuato dal Sudan ad aprile, «una vittoria militare per uno dei due belligeranti significherebbe un costo umano e un danno inaccettabili per il paese», già uno dei più poveri al mondo.

IN QUESTI GIORNI A ADDIS ABEBA, l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad) – che raggruppa i diversi stati del Corno d’Africa – ha avviato i colloqui bilaterali per «studiare un possibile dispiegamento in Sudan della East African Standby Force (Easf)», con l’obiettivo di «proteggere i civili e garantire l’accesso umanitario».
Un’iniziativa che sembra ancora di difficile attuazione, visto che il presidente keniano William Ruto, a capo dell’Igad, viene accusato di essere allineato sulle posizioni delle Rsf di Hemeti e non viene riconosciuto dai militari dell’esercito guidati da al-Burhane.

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