Internazionale

Il lavoro della protezione civile americana fra disinformazione e minacce

Il lavoro della protezione civile americana fra disinformazione e minacceUn cartello di ringraziamento ai volontari – Marina Catucci

North Carolina in bilico Parla La Tanga Hopes, dipendente Fema. Le nuove procedure dell'agenzia: personale ritirato da alcune zone, mentre aumentano le guardie di sicurezza

Pubblicato 3 giorni faEdizione del 23 ottobre 2024
Marina Catucci FAYETTEVILLE

La-Tanga Hopes è un’addetta alla comunicazione di Fema, l’agenzia federale della protezione civile. La incontriamo in North Carolina presso la sede di Fema, in una delle aree maggiormente colpite dall’uragano Helene e dove l’agenzia deve affrontare la maggiore ostilità.

DISPONIBILE e preparata, Hopes davanti a sé ha degli appunti con le risposte standard da dare alla stampa, dalle quali non si discosta per non compromettere ulteriormente una situazione già tesissima. Spiega che sono stati stanziati più di 100 milioni di dollari in fondi federali per i trasporti, per ricostruire strade e ponti spazzati via dall’uragano, e che sul territorio ci sono circa 1.500 dipendenti di Fema che contribuiscono alle operazioni di soccorso, forniscono beni di prima necessità, incontrano i sopravvissuti nei loro quartieri e nei rifugi.
«Ci assicuriamo di aiutare prima, dopo e durante un disastro. Oltre alla mitigazione dei danni, abbiamo anche un team di prevenzione, e lavoriamo costantemente per essere preparatialla situazione da affrontare»
Per il North Carolina l’amministrazione Biden ha stanziato oltre 130 milioni di dollari da distribuire direttamente alle persone tramite il programma Serious Needs Assistance, che assegna 750 dollari come supporto iniziale di soccorso diretto, destinato a coprire i beni di emergenza e prima necessità (e sul quale la campagna di Trump ha diffuso l’ennesima fake news, sostenendo che ai sopravvissuti spettano solo 750 dollari a testa).

PER CHI ARRIVA da fuori, trovare una camera d’albergo è un’impresa, perché gli hotel sono pagati da Fema per ospitare chi ha perso la casa attraverso il programma di assistenza transitoria per l’alloggio. «Alle persone viene assegnato un referente che li segue finché non sono in grado di capire quali saranno le loro prossime risorse abitative. Abbiamo appena lanciato un nuovo programma, si chiama progetto di unità multi-famiglia: ci impegniamo a riparare o migliorare una proprietà in cambio della disponibilità da parte del proprietario a ospitare temporaneamente le persone colpite dall’uragano».
Per fare arrivare queste informazioni alle persone uno dei compiti della Fema è setacciare il territorio e andare zona per zona, ed è qua che sorge il problema dell’ostilità: le aggressioni e le minacce contro gli operatori alimentate dalla disinformazione hanno fatto si che, per garantire la sicurezza del personale, la Fema apportasse delle modifiche al modo in cui opera, anche ritirando il personale da alcune aree.

«CONTINUIAMO a supportare le comunità. Ma per la sicurezza dei membri dello staff ci sono stati alcuni aggiustamenti – spiega Hopes – Non c’è più solo una guardia di sicurezza all’entrata, ma due. Questo è uno stato dove si possono portare armi, e abbiamo messo un cartello per dire che non è permesso portarne nel Disaster Recovery Center. Non abbiamo voluto un metal detector perché può allontanare le persone. Dobbiamo riadattarci in modo corretto se vogliamo essere il più possibile accessibili a chi si rivolge a noi».

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento