Il j’accuse di Ba Jin contro la gabbia del sistema parentale
Narrativa cinese «Famiglia», un classico datato 1933
Narrativa cinese «Famiglia», un classico datato 1933
Lacrime e toni di fuoco e per inneggiare alla rivolta, all’amore e alla libertà sono il «marchio di fabbrica» di Ba Jin il «rivoluzionario», che sfuggì all’ambiente soffocante della grande famiglia mandarinale di provincia quando era ancora Li Shaodong, per poi simpatizzare con il movimento anarchico, da cui lo pseudonimo Ba Jin con cui divenne famoso: Ba viene dalla prima sillaba di Bakunin e Jin dall’ultima di Kropotkin.
Arrivò fino a Parigi, dove si attivò per salvare Sacco e Vanzetti, si nutrì dei grandi autori russi, tradusse la letteratura francese di Rousseau, Hugo e Rolland, e proprio a Parigi cominciò a scrivere. Rientrato in patria, mentre nel corso degli anni Trenta e Quaranta la Cina veniva travolta dalle lotte intestine fra Nazionalisti e Comunisti, dall’invasione giapponese, dalla guerra mondiale e poi da quella civile, Ba Jin continuò febbrilmente a scrivere.
I suoi romanzi «a tesi» intrecciano nella narrazione le sue arringhe contro la vecchia Cina tradizionale, fermandosi però sul confine del fuoco destruens rivoluzionario. Fra questi, Famiglia (ora tradotto da Lorenzo Andolfatto, Atmosphere, pp. 421, euro 18,00), del 1933, grande classico della letteratura cinese del Novecento. Come afferma l’autore introducendo l’edizione del 1937, è una saga che ha l’intento di «annunciare la morte di un sistema famigliare assurdo, gridare il mio j’accuse contro questo sistema morente».
Famiglia diventò il libro di un’intera generazione, che ispirò alle sue pagine le proprie scelte di vita. Ma come dichiara con garbo il traduttore Lorenzo Andolfatto nella sua bella postfazione, per amare questo romanzo bisogna andare «oltre le lacrime», al di là del sentimentalismo che lo invade. La scelta azzeccata di tradurlo in una prosa forbita riesce a stemperare in una certa misura i toni da melodramma e l’ingenuità di alcune tirate eroiche.
In molti modi, questo romanzo incarna quel vasto movimento sociale, conosciuto come Movimento di Nuova Cultura, che mirava a distruggere la tradizione confuciana per modernizzare la nuova nazione cinese sulla base della scienza, della democrazia e della libertà individuale. Proprio in questo momento di transizione si muovono i protagonisti del romanzo, i tre fratelli Juexin, Juemin e Juehui, la giovane generazione della famiglia Gao che molto hanno in comune con Ba Jin e i suoi fratelli.
Fra invenzione e autobiografia, i fratelli Gao rispondono al perfetto identikit dei giovani «moderni» del tempo: studiano le lingue, leggono romanzi stranieri da cui traggono ispirazione per la loro vita, sognano grandi amori, rivoluzione, libertà. La famiglia si chiude su di loro come una prigione, dove il patriarca nonno Gao dispone della vita di tutti i componenti con indiscussa autorità. La ricca dimora con il meraviglioso giardino attraversato da laghetti, padiglioni e frutteti si trasforma, una pagina dopo l’altra, in una gabbia sempre più asfissiante, che soffoca i sogni e le vite dei suoi abitanti, in particolare dei più giovani.
La metafora della famiglia tradizionale come mostro che si ciba delle giovani generazioni è in realtà trasversale a molta letteratura dell’epoca, che mirava – come lo stesso Ba Jin –- ad affermare il diritto di ciascun individuo a scegliere la propria vita.
Alla fondazione della Repubblica popolare nel 1949 Ba Jin venne messo su un piedistallo come grande scrittore della passata generazione: il prezzo per il suo futuro silenzio. Aveva appena quarantacinque anni, era amatissimo dal suo pubblico di giovani lettori, ma le sue inclinazioni anarchiche mal si adattavano all’ideologia comunista e alle nuove linee guida per la creazione artistica.
on scrisse più nuovi romanzi, tuttavia nemmeno l’impegno che mise nella «gommatura» degli accenti più sovversivi dai suoi scritti passati lo salvò da attacchi feroci nel corso della Rivoluzione Culturale: nel corso di una dura seduta di critica venne fatto inginocchiare su cocci di vetro, al centro del palco in un gremitissimo Stadio del popolo. Riabilitato negli anni Ottanta, riconquistò il suo posto fra i grandi scrittori del Novecento. Seguirono molti onori: la sua candidatura fu più volte sottoposta alla commissione del Nobel, e il suo centesimo compleanno venne celebrato in pompa magna. Ma Ba Jin vegetava già da anni in un letto d’ospedale, dove con i suoi toni di fuoco chiedeva, invano, l’eutanasia.
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