Il grande reset di Starmer passa anche per Belfast, dove c’è molto da rifare
Gran Bretagna Dalla Scozia all'Irlanda del Nord e all'Europa. L'ecumenismo del neopremier britannico. «Costruttivi e amichevoli» i colloqui con lo Sinn Féin. E per il Dup «è un’unionista»
Gran Bretagna Dalla Scozia all'Irlanda del Nord e all'Europa. L'ecumenismo del neopremier britannico. «Costruttivi e amichevoli» i colloqui con lo Sinn Féin. E per il Dup «è un’unionista»
Non si era fatto in tempo a spegnere il microfono al quale aveva letto la sua prima dichiarazione alla stampa che il neopremier britannico Keir Starmer era già in tour nelle quattro province (nazioni) del paese: Scozia, Irlanda del Nord, Galles e Inghilterra. Oltre a quello, superno, della ri-crescita felice di un’economia severamente affetta da alopecia, il suo mandato consta di un altro imperativo: ristabilire la fiducia dell’elettorato quando, secondo uno studio recente del National Centre of social Research, questa non è mai stata così bassa.
Come? Con il “grande reset” (sic), la reimpostazione dei rapporti del Regno Unito con se stesso e con il mondo. Metteremo lo Stato prima del partito, ha ribadito uno Starmer in modalità ecumenica (si è dichiarato aperto a collaborare con chi abbia buone idee ed esperienza a prescindere dal colore della coccarda), evidentemente ben consapevole che «il 45%» dell’opinione pubblica «non crede “quasi mai” che governi britannici di qualsiasi partito possano mettere i bisogni della nazione al di sopra degli interessi del proprio partito», mentre «il 58% non s’illuderebbe “quasi mai” del fatto che i politici di qualsiasi colore in Gran Bretagna possano dire la verità quando messi alle strette». Verdetti che rendono l’argilla della pur gigantesca maggioranza dei laburisti ancora più friabile.
Questo è il fondale da cui riemergere. Subito dunque nella riconquistata Scozia, dove da uno siamo passati a 37 deputati, piallando a soli nove la locale forza politica più rilevante dell’ultimo ventennio, gli indipendentisti del Snp. Poi Belfast, dove c’è molto da rifare. Lo “stranamoroso” Hilary Benn – somiglia all’inquietante personaggio di Peter Sellers – (figlio centrista di Tony, ex ministro per Blair & Brown, il suo voto del 2015 a favore dei bombardamenti in Siria un doloroso precedente) è il primo Secretary of Nortern Ireland dal 2010 e a lui spetta il compito di rabberciare i rapporti con Belfast ora che il Sinn Fein è diventato primo partito surclassando l’egemone storico Dup.
Anche qui, dei vasti cicli storici vanno compiendosi. Non solo è stato superato dei repubblicani, il Dup è in pieno sommovimento interno. Per la prima volta in 54 anni non ci sarà un Paisley a rappresentare North Antrim, con il deplorevole Ian Paisley junior sconfitto dal suo avversario unionista Jim Allister nella competizione per il seggio vinto da suo padre nel 1970. Fondato da Ian senior, il Dup ha avuto una pessima elezione, con tre dei suoi otto seggi persi che gli sono costati il sorpasso.
La buona volontà e lo slancio del neofita non mentono: la presidente dello Sinn Féin Mary Lou McDonald ha descritto i colloqui con Starmer come «costruttivi e molto amichevoli». Lo diventeranno ancora di più quando Londra riallenterà i cordoni della borsa che tiene in piedi Stormont, stretti già da anni dalla austerità Tory.
Dopo il loro incontro, il leader del Dup Gavin Robinson ha definito Starmer «un’unionista» col quale ha avuto un colloquio «molto produttivo».
Già domenica Starmer aveva incontrato l’elettoralmente malconcio premier scozzese, John Swinney, col quale ha affrontato i fin troppo realistici rischi corsi da migliaia di posti di lavoro in un’importante raffineria e probabilmente cercando di evitare un frontale con la questione dell’indipendenza, ragione politica prima della controparte.
Contemporaneamente, il titolare degli Esteri David Lammy volava a Berlino nella tappa inaugurale del tour di riavvicinamento all’Ue in mancanza dell’ – impossibile? – riapertura del trauma “Breturn”, questa volta con stay/return al posto di leave/remain.
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