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Il governo senza rete e senza vergogna

Il governo senza rete e senza vergognaSilvio Berlusconi – foto LaPresse

Commenti Il lascito nefasto è aver fatto credere agli avversari e al Pd che la politica fosse solo comunicazione. Non organizzazione, strategia elaborazione e presidio di luoghi e interessi oggettivi

Pubblicato più di un anno faEdizione del 21 giugno 2023

C’è un sottile ma evidente filo rosso che unisce l’eredità del berlusconismo, le dichiarazioni di Beppe Grillo sulle «brigate di cittadinanza», la partecipazione di Elly Schlein alla manifestazione dei Cinque Stelle e le successive reazioni di alcuni membri del Partito democratico. Alessio D’Amato – con un tweet – scrive: «Ho comunicato a Stefano Bonaccini le mie dimissioni dall’Assemblea Nazionale del Pd. Brigate e passamontagna anche No.

È stato un errore politico partecipare alla manifestazione dei 5S. Vi voglio bene, ma non mi ritrovo in questa linea politica». Segue poi Pina Picerno, sempre su Twitter: «Unire le opposizioni è fondamentale. Ma intorno a cosa ci uniamo? Alle parole aberranti di Moni Ovadia sull’Ucraina o alle farneticazioni di Beppe Grillo sui passamontagna?». Si sprecano poi le dichiarazioni degli avversari storici dell’alleanza Pd-Cinque Stelle, tanto da parte degli ex fuori dal Pd, che dagli ex dentro il Pd.

Il filo rosso è l’eredità più nefasta del berlusconismo, cioè l’illusione – alla quale hanno creduto soprattutto i suoi avversari – che la politica si possa costruire solo nella sfera mediale, con dichiarazioni pubbliche e messa-in-scena. Potremmo sostenere che è stata questa la più grande astuzia di Berlusconi che, come Kaiser Soze ne “I soliti sospetti”, convince il mondo che lui non esiste e come niente poi… sparisce. L’eredità più perniciosa del berlusconismo è aver fatto credere ai suoi avversari che la politica fosse solo comunicazione. Non, quindi, organizzazione e selezione della classe dirigente, non strategia ed elaborazione, non presidio dei luoghi e degli spazi, non rappresentanza di interessi oggettivi. Solo comunicazione: «Fate come me e vincerete».

In tanti, forse tutti, ci hanno provato. Alcuni, per poco tempo, ci sono riusciti. Senza però capire la portata della «trappola». Berlusconi sapeva benissimo che la comunicazione, da sola, non era sufficiente. Non per nulla, la dimensione organizzativa del partito, la selezione della classe dirigente e il riferimento agli interessi sociali ed economici da difendere, gli sono sempre stati molto chiari. La comunicazione «popolare» è certamente dirimente e, come mostra la ricerca di Jacobin gli elettori con titoli di studio più deboli sono fortemente attratti dai candidati che si concentrano su questioni importanti per la vita quotidiana, ricorrono a un linguaggio «populista» noi/loro e promuovono una netta e audace agenda politica progressista. Al contrario, la sinistra politica ha creduto, sbagliando, di saper gestire la comunicazione di massa perché la sinistra intellettuale sapeva (e sa) fare Blob.

La comunicazione, poi, è la condizione necessaria, non quella sufficiente. Berlusconi non solo sapeva comunicare, ma metteva in filiera la comunicazione con l’organizzazione politica e i suoi spazi.

Una politica di sinistra, capace cioè di lavorare per l’emancipazione dei subalterni e di chi «non ha voce», deve ripartire dai luoghi fisico-spaziali dell’elaborazione politica. Partiti, corpi intermedi, organizzazioni degli interessi, parti sociali, autonomie funzionali, associazioni della cittadinanza attiva, riviste, gruppi per l’elaborazione intellettuale, reti e alleanze di scopo costituiscono spazi fisici e organizzativi intermedi a livello della classe dirigente e della sua capacità di elaborazione del futuro. La nota crisi dei corpi intermedi e della rappresentanza politico-sociale è stata accompagnata anche dalla contrazione degli spazi intermedi della classe dirigente. Un «corpo politico» importante come quello del Segretario del Partito deve servire per presidiare gli spazi intermedi dell’elaborazione politica e, se questi non ci sono, deve essere l’elemento che li crea. Il grimaldello che apre i circoli, il magnete che polarizza il campo politico, il totem intorno al quale si sviluppa, in situazione di compresenza fisica, l’elaborazione politica. Dove il Segretario cerca la sintesi e solo a valle di questa si presenta sulla scena pubblica e promuove alleanze.

Oggi, invece, i luoghi e gli spazi intermedi dell’elaborazione si sono disciolti nell’opinione pubblica smaterializzata e la sintesi, se c’è, viene dopo. Si solleva il tema nella scena pubblica mediatizzata, si osserva il posizionamento di altre componenti del proprio partito, delle forze sociali, degli opinion-maker e degli avversari esterni e, alla fine, si decide se e come proseguire. La dialettica politico-progettuale si è sciolta nella comunicazione politica: è nella messa in scena mediatizzata che si cerca la sintesi.

La minoranza Pd risponde a Schlein, come Giorgetti risponde a Salvini, o come il Presidente del Consiglio risponde al segretario di un partito di maggioranza, in un dialogo ormai disciolto nella comunicazione pubblica, a volte a colpi di tweet, altre volte dai salotti dei talk-show o tramite articoli sui giornali, cercando di massimizzare il «capitale mediatico» come primario strumento del consenso. Chi perde, sempre e comunque, sono i tempi lunghi dell’elaborazione progettuale e gli spazi dell’organizzazione politica.

Twitter: @FilBarbera

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