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Il governo ombra chiama alla rivolta contro i golpisti

Il governo ombra chiama alla rivolta contro i golpistiUna delle tante proteste che si sono svolte a Yangoon dal golpe militare in Myanmar – Ap

Myanmar «Con la responsabilità di proteggere vita e proprietà delle persone il Governo di unità nazionale lancia una guerra di difesa popolare». L’annuncio dato su Facebook. L’esercito intanto cerca l’appoggio dei religiosi

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 8 settembre 2021

Il governo ombra del Myanmar (National Unity Government-Nug) ha dichiarato una «guerra di resistenza popolare» contro la giunta che ha preso il potere col colpo di stato il 1 febbraio. Duwa Lashi, Presidente ad interim del Governo di unità nazionale birmano formato dai parlamentari eletti e destituiti dal golpe, ha reso nota la decisione con un video pubblicato su Facebook ieri mattina.

LA CHIAMATA a una nuova fase della rivolta di massa è anche un invito, a lungo reiterato, a che le forze di difesa popolare (Pdf-People’s Defence Force) e le armate delle autonomie regionali (Eao – Ethnic Armed Organisations) si uniscano rivoltandosi contro il nuovo ordine del generale Min Aung Hlaing. Nel suo discorso, durato sette minuti, il presidente ha invitato le Pdf – espressione diretta del Nug – a prendere di mira «ogni pilastro del meccanismo di governo della giunta», nonché a proteggere la vita della gente del Myanmar e a seguire un codice di condotta che faccia attenzione alla salvaguardia della vita dei civili.

HA INFINE ESORTATO gli amministratori locali a dimettersi immediatamente. Il Movimento di resistenza civile compie dunque un salto di qualità che istituzionalizza i continui attentati che ormai da mesi costellano la quotidianità birmana: «Con la responsabilità di proteggere la vita e le proprietà delle persone, il Governo di unità nazionale lancia una guerra di difesa popolare contro la giunta militare – ha detto il presidente ad interim in quello che ormai tutti chiamano il D-Day del Myanmar – poiché questa è una rivoluzione pubblica in cui tutti i cittadini dell’intero Myanmar si ribellano in ogni angolo del Paese contro il Governo dei terroristi militari guidati da Min Aung Hlaing».

SE È DIFFICILE PREVEDERE gli esiti di questa mossa che era nell’aria da giorni, è certo una realtà la mancanza di consenso di Tatmadaw, l’esercito birmano, che ora cerca l’appoggio dei religiosi. Lo avrebbe fatto, secondo l’agenzia Fides, tentando di «comprare» amministrati del culto cristiani e lo sta facendo col clero buddista: ha infatti appena rilasciato Wirathu, il famoso monaco buddista nazionalista noto per le sue invettive anti-musulmane e anti Rohingya, dopo averlo sciolto dalle accuse di sedizione mossegli dal governo deposto di Aung San Suu Kyi. Si conquistò la copertina di Time magazine come esponente dei pogrom contro i musulmani birmani del Rakhine.

UNA SORTA DI DECALOGO emerge dall’invito alla lotta: dal 7 settembre in sostanza viene dichiarata la rivoluzione contro lo State Administration Council (Sac) e tutti devono contribuire al meglio delle loro possibilità cominciando dalle dimissioni degli amministratori pubblici. Le Pdf dovranno eliminare chiunque sia associato ai militari nelle rispettive aree di controllo dando priorità alla sicurezza dei civili che dovranno astenersi dal viaggiare se non in caso di emergenza e dovranno assistere e sostenere come potranno le Pdf; dovranno inoltre contribuire allo smantellamento dell’amministrazione civile locale.

Sul fronte interno il Nug chiede che la polizia di frontiera e le milizie popolari affiliate a Tatmadaw si uniscano alla lotta mentre i soldati e la polizia di Tatmadaw vengono esortati a disertare. L’invito più difficile riguarda le organizzazioni etniche armate in capo alle autonomie regionali che dovrebbero, nel pensiero del Nug, lanciare offensive per rivendicare le proprie aree di controllo. Quanto poi questo si possa tradurre in una vera alleanza tra Nug e Eao resta da vedersi. Come resta da vedere quale sarà la reazione della Comunità internazionale visto che l’annuncio arriva nel momento in cui l’Asean aveva chiesto una tregua per motivi umanitari. Ben vista (ma non ancora accettata) dalla giunta e rifiutata dal Nug perché di fatto aiuterebbe i golpisti a ripristinare l’ordine.

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