Il decreto al Senato, ma senza fondi. I sindaci: «Sepolti dalla burocrazia»
In parlamento Manca solo l'ok del Senato per la conversione in legge del nuovo decreto terremoto. I Comuni del cratere al bivio tra le richieste e le proteste dei cittadini, e i vincoli di bilancio strettissimi che lasciano intravedere lo spettro del default
In parlamento Manca solo l'ok del Senato per la conversione in legge del nuovo decreto terremoto. I Comuni del cratere al bivio tra le richieste e le proteste dei cittadini, e i vincoli di bilancio strettissimi che lasciano intravedere lo spettro del default
Il nuovo decreto terremoto è ormai in dirittura d’arrivo: passato il vaglio della Camera, adesso manca soltanto l’ok del Senato per la definitiva conversione in legge. È questa la mossa del governo per dare una svolta a una ricostruzione che tra le Marche, l’Umbria, il Lazio e l’Abruzzo non è mai cominciata: a sette mesi dall’inizio di una crisi sismica che ha prodotto 300 morti, altrettanti feriti e decine di migliaia di sfollati, si è pensato solo a tamponare l’emergenza, a trovare soluzioni istantanee per i problemi più urgenti, ma la lotta per la sopravvivenza di un Appennino che rischia lo spopolamento non è mai stata davvero una priorità.
Tra le novità dell’ultimo decreto, oltre alle risorse per le indagini sulla vulnerabilità sismica delle scuole e i rimborsi per le seconde case lesionate, ha trovato spazio anche una misura lanciata sul manifesto dal dem Ermete Realacci: per i prossimi dieci anni, una quota dell’8×1000 devoluta allo Stato sarà impiegata per la ricostruzione e il restauro dei beni culturali danneggiati dal sisma.
Per il resto, dalle zone terremotate si punta a ottenere una serie di emendamenti: la cancellazione dell’Imu fino alla consegna della casa, un cronoprogramma reale sullo smaltimento delle macerie, un sostegno alle imprese per i mancati guadagni (il 60% del fatturato) fino a ricostruzione avvenuta, un sistema di microcredito per le aziende del cratere, il raddoppio del contributo per l’autonoma sistemazione, una misura di sostegno al reddito per chi ha perso il lavoro, l’annullamento dei vincoli paesaggistici, canali preferenziali per l’export, la convocazione immediata di Enel, Terna, Telecom e Trenitalia per concordare investimenti immediati.
«Più che dalle macerie, siamo seppelliti dalla burocrazia», dicono i sindaci dei comuni terremotati, i personaggi che più di tutti sono al centro di un crocevia difficilissimo da gestire: da una parte ci sono le richieste e le proteste dei cittadini, dall’altra dei vincoli di bilancio strettissimi che dietro di sé lasciano intravedere lo spettro del default. C’è chi è combattivo, come il sindaco di Caldarola (Macerata) Luca Maria Giuseppetti, che ha proposto ai suoi colleghi di riconsegnare le fasce tricolori in Prefettura come estrema forma di protesta. Altri tacciono, soprattutto i sindaci di centrosinistra, un po’ nel vano tentativo di difendere un governo a loro vicino (in teoria) e un po’ perché più di qualcuno spera in un futuro politico in primo piano, anche sfruttando la tragica popolarità degli ultimi mesi: un giochino triste ma ampiamente prevedibile.
Franco Capponi, da Treia, ha invece messo nero su bianco le richieste del territorio all’Anci per evitare che si vada tutti in dissesto di bilancio. L’idea è di contabilizzare le tasse locali sospese, in modo da poter dare respiro ai conti: molti enti locali si trovano a dover combattere con una contabilità ingessata fino all’80% delle risorse, un’enormità. Non sarà una cosa facile, anche perché la partita della ricostruzione è strettamente legata a quella europea sui famosi 3.4 miliardi da tirare fuori con una prossima ventura manovra correttiva.
Il problema principale riguarda proprio i soldi: ogni spesa è affidata a dei decreti attuativi che però non arrivano mai, o se arrivano sono sempre inferiori alle attese. Anche il miliardo di euro per il terremoto annunciato la settimana scorsa dal premier Paolo Gentiloni appare una pia illusione: non si capisce da dove uscirebbe fuori. Il conto è salatissimo, e sarà saldato soltanto nell’arco di almeno due decenni: i danni totali sono stati stimati in 23 miliardi di euro, ma non si conta tutto il contorno, cioè i cosiddetti «danni indiretti» all’economia e al mondo del lavoro.
Il settore turistico – architrave del sistema economico appenninico – è in grave difficoltà, non ci sono cifre precise ma le associazioni di categoria lanciano allarmi un giorno sì e l’altro pure. In tutto questo non manca lo spazio per le assurdità, tipo quella recente della Regione Marche, che ha diffuso volantini turistici che esaltavano soltanto le bellezze della parte settentrionale della regione, dicendo che invece al sud il terremoto ha scombinato tutti i programmi. Ovviamente le polemiche sul punto sono state feroci, perché il disincentivo è evidente e la faccenda viene vissuta come un’umiliazione da chi già ha perso tutto a causa del sisma.
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