Il governo ha il terrore del caso Artem Uss. La risposta che l’esecutivo ha dato a un’interrogazione del gruppo Verdi/Sinistra ieri alla camera, o meglio non ha dato, lo conferma in pieno.

I deputati Bonelli e Dori hanno ricostruito la vicenda della clamorosa fuga del cittadino russo, che gli Stati uniti ritengono traffichi in materiale militare destinato ad armare la guerra di Putin in Ucraina, evaso dagli arresti domiciliari malgrado il braccialetto elettronico e riparato in Russia. Alla figuraccia il governo ha pensato di rimediare accusando i magistrati della Corte di appello di Milano che hanno concesso i domiciliari. Il ministro della giustizia Nordio ha prima ordinato un’ispezione e poi promosso l’azione disciplinare contro quei magistrati, ma riferendo in parlamento non è riuscito a giustificare la mossa che dunque resta un’indebita intrusione nell’autonomia di giudizio delle toghe. Così l’azione disciplinare è destinata a finire nel nulla.

Del tutto sullo sfondo sono rimaste le responsabilità degli apparati di sicurezza e dunque del ministero dell’interno. Si sa che la presidente del Consiglio, ascoltata dal Comitato parlamentare che si occupa dei servizi segreti, ha allontanato le responsabilità da palazzo Chigi (e dunque dal suo braccio destro Mantovano che ha la delega ai servizi) puntando il dito, anche lei, sulla magistratura. Piantedosi nei giorni scorsi ha fatto spallucce, limitandosi a dire che nessuno ha mai coinvolto il Viminale nella faccenda. Ma non poteva ignorare che Uss era stato arrestato a Milano su richiesta degli Usa e certo conosceva di cosa era accusato: ne avevano parlato tutti i mezzi di informazione.

Da qui l’interrogazione di Bonelli e Dori, che puntando le responsabilità dei servizi e delle forze di polizia (che, a quanto si è saputo, controllavano Uss una volta ogni 72 ore) era in origine rivolta al solo ministero dell’interno. Gli uffici della camera hanno ritenuto però di correggerla, indirizzandola anche al ministero della giustizia. Che ieri ha risposto in solitudine e senza mandare un suo rappresentante ma facendosi sostituire del leghista Durigon, sottosegretario al lavoro di turno il venerdì mattina. La risposta, su carta intestata di via Arenula, non dice niente: «Risulta ancora in fase germinale l’attività investigativa, coperta da segreto». «Risposta stupefacente e inaudita», la replica di Bonelli e Dori, «è come se il governo avesse messo il segreto di stato». A protezione del Viminale e dei servizi.