Il governo catalano è agli sgoccioli
Spagna Il president Quim Torra già da domani non sarà deputato, e tra poche settimane, quando la sua condanna all’interdizione dagli pubblici uffici sarà definitiva, non sarà neppure più presidente
Spagna Il president Quim Torra già da domani non sarà deputato, e tra poche settimane, quando la sua condanna all’interdizione dagli pubblici uffici sarà definitiva, non sarà neppure più presidente
Che lo ammettano o no i principali protagonisti politici, la legislatura catalana ha le ore contate. In teoria, il president Quim Torra già da domani non sarà deputato, e tra poche settimane, quando la sua condanna a interdizione dei pubblici uffici sarà definitiva, non sarà neppure più presidente. «Speriamo che la legislatura termini con dignità e con una risposta all’altezza delle intromissioni», ha sentenziato ieri mattina la deputata della Cup Maria Sirvent. Le intromissioni sono quelle della Giunta elettorale centrale che qualche settimana fa aveva deciso di anticipare il risultato della sentenza di condanna non ancora definitiva per il presidente Quim Torra. Il president aveva fatto immediatamente ricorso contro questa decisione al Tribunale supremo, lo stesso che dovrà decidere se ratificare la condanna in primo grado per non aver staccato due striscioni a favore dei prigionieri politici dalla facciata della Generalitat ad aprile scorso. Nel ricorso solo si metteva in discussione la giurisdizione di un organo come la Giunta elettorale (con competenze meramente elettorali) nel decidere che un deputato perda il suo status. Ma anche per chiedere di sospendere la decisione fino alla condanna definitiva. Un caos giuridico in cui da due anni la destra sta giocando la partita catalana, cosciente che nella magistratura spagnola le posizioni più oltranziste e nazionaliste godono di maggiori simpatie.
Proprio giovedì il Supremo aveva deciso di ignorare le ragionevoli opposizioni giuridiche di Torra e di tirare dritto: d’accordo alla sospensione come deputato, tanto comunque verosimilmente confermerà la condanna. Ora la patata bollente è sul tavolo di Roger Torrent, il presidente del Parlament, di Esquerra republicana. Qualche settimana fa il Parlament ad ampia maggioranza (i tre partiti indipendentisti, più i Comuni di Ada Colau e anche i socialisti) in una mozione aveva respinto la decisione della Giunta ritenendola non competente. Ma ora è diverso: piaccia o non piaccia, la decisione è avallata dal Supremo e Torrent deve accettarla se non vuole rischiare lui stesso una condanna. E lunedì c’è una seduta straordinaria per parlare dei disastri lasciati dalla tempesta Gloria, la peggiore di sempre che ha fatto a pezzi centinaia di chilometri di coste e si è ingoiata tutto il delta dell’Ebro e le sue risaie. Ma l’attenzione si concentrerà su Torra. Finora Torrent si era sempre schierato dalla parte dell’ormai odiato alleato, ma sono due giorni che non parla. I legali della camera avevano avallato il sentire politico della maggioranza, valutando che la Giunta non aveva il potere di sospendere Torra, ma ieri hanno deciso che la questione ora è politica, e dipende da Torrent. Che non vuole commettere un reato, ma non vuole regalare a Junts per Catalunya, partito di Torra, il frame narrativo che stia cedendo alla prepotenza spagnola, proprio quando Esquerra è stata chiave per far partire il governo di Pedro Sánchez. Ma pur perdendo lo status di deputato, fino alla condanna definitiva, Torra probabilmente manterrà la presidenza (e quindi il potere di sciogliere il Parlament).
A Madrid fanno finta di niente: c’è in sospeso l’incontro fra Sánchez e Torra che Esquerra ha strappato per iniziare il dialogo in Catalogna, che in teoria avverrà la prima settimana di febbraio. E nel frattempo l’esecutivo rosso-viola ha, coraggiosamente, preso la decisione di cambiare il codice penale per modificare i reati di “sedizione” e “ribellione”: non solo si piegano troppo facilmente a essere applicati a proteste politiche, ma non hanno corrispondenti in Europa. Una riforma express che abbassi le pene farebbe ridurre le pene dei condannati. Una strada politicamente più semplice dell’indulto, anche se la destra si strappa già i capelli gridando alla resa all’indipendentismo.
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