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Il giorno della riscossa: Chernobyl è di nuovo in mani ucraine

Il giorno della riscossa: Chernobyl è di nuovo in mani ucraine

Crisi ucraina Aiea monitora la missione. Kiev: «Nessun danno dai russi»

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 3 aprile 2022

I russi se ne sono andati senza combattere e, apparentemente, senza che abbiano causato danni significativi alla Zona di esclusione come ha specificato Yevhen Kramarenko, capo dell’agenzia ucraina che gestisce la Zona di esclusione.
Già il 31 marzo all’Energoatom era stata recapitata una lettera intitolata “Atto di accettazione e di trasferimento di protezione della centrale nucleare di Chernobyl” firmata da un rappresentante della Guardia nazionale russa, uno della Rosatom (l’agenzia atomica russa) e il capoturno della centrale ucraina. Nel documento si dichiarava che l’amministrazione del sito si impegnava a “non pronunciare alcun reclamo contro le truppe della Guardia nazionale della Federazione russa”.

Ora la prima preoccupazione delle autorità ucraine sarà quella di riattivare le centraline di monitoraggio che controllano automaticamente il livello delle radiazioni, permettere il ricambio dei turni di lavoro e controllare lo stato dell’intera Zona di esclusione.
Come più volte rilevato, tutti i segnali di pericolo nucleare avanzati dalle autorità ucraine sin dal 24 febbraio, giorno in cui le truppe russe hanno occupato Chernobyl, erano allarmi infondati. Si è sgonfiata anche la notizia diffusa nei giorni scorsi dalla Snriu e dall’Energoatom e ripresa da tutti i media, secondo cui soldati russi starebbero stati colpiti da sindrome di radiazione acuta e trasferiti in Bielorussia per cure. Avevamo già anticipato che a Chernobyl non vi è nessuna fonte radioattiva così potente da causare effetti così evidenti sulla salute umana in pochi giorni. L’unico luogo dove vi sono attività di radioisotopi tali da mettere in pericolo la vita in poche ore si trova all’interno del vecchio sarcofago in cemento che custodisce ciò che rimane del reattore numero 4, esploso il 26 aprile 1986.

Ora l’AIEA invierà scienziati per accertare la sicurezza dell’impianto e assicurarsi che nessuna delle sostanze potenzialmente pericolose presenti nelle strutture della zona manchi all’appello. Sarà lo stesso direttore dell’agenzia atomica internazionale, Rafael Mariano Grossi, a guidare la prima missione internazionale di scienziati e tecnici in terra ucraina.
Tra gli scienziati che sperano di tornare presto a svolgere lavori di ricerca a Chernobyl c’è anche Jim Smith, professore di Scienze ambientali all’Università di Portsmouth, che ha condotto ricerche sul campo nella Zona di esclusione sin dal 1994. Nel 2019, assieme a Gennady Laptev, direttore dell’Istituto idrometeorologico di Kiev, e liquidatore della centrale nel 1986, Smith ha costituito la Chernobyl Spirit Company, una piccola società che produce Atomik, un liquore di circa 40 gradi ottenuto dalla fermentazione di grano e aromatizzato con mele, pere e prugne. La curiosità di questo prodotto è che i suoi ingredienti sono interamente coltivati a Chernobyl e l’intero processo di coltivazione, preparazione e vendita è fatto grazie ad una collaborazione tra locali e ricercatori.
Il processo di distillazione, ad esempio, è condotto dal geologo e radiochimico Kyrylo Korychensky, la cui famiglia produce distillati da generazioni. Ogni raccolto e il prodotto finale sono controllati nelle varie fasi di lavorazioni in termini di qualità e radioattività. Grazie al processo chimico di distillazione i radioisotopi vengono eliminati ottenendo l’Atomik che viene venduto ed esportato anche in alcuni Paesi europei.

Gli studi effettuati a Chernobyl e confermati anche a Fukushima, indicano che, al di fuori delle zone hotspot, dove si concentrano le radiazioni per via della composizione chimica del terreno o del microclima, il suolo non presenta livelli di radioattività tali da essere considerati pericolosi per l’uomo. Inoltre, il cesio-137 si raccoglie per il 95% entro i primi 5 centimetri nel suolo dalla superficie e in molti cereali (come riso e grano) i radioisotopi sono presenti nella pula, nel tegumento e nelle parti esterne, mentre i chicchi non assorbono elementi radioattivi. Le analisi effettuate sui raccolti evidenziano che la radioattività rientra nei limiti imposti dalla legge ucraina (già inferiori a quelli di molti altri Paesi europei). I team di ricerca guidati da Smith e Laptev hanno studiato il processo di trasferimento dei radioisotopi al terreno e alle coltivazioni nel distretto di Narodychi. Sulla base di questi studi gli scienziati hanno deciso di iniziare a coltivare 0,25 ettari di terreno nei pressi del villaggio di Opachichi creando una piccola azienda agricola per produrre il distillato di cereali fruttato alle mele, pere e prugne devolvendo il 75% dei profitti alle comunità ucraine che hanno subito le conseguenze dell’incidente del 1986. Nell’autunno 2021 le donazioni hanno raggiunto i 18.000 euro e la compagnia ha ora deciso di donare i profitti delle prime 850 bottiglie vendute ai rifugiati ucraini.

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