Mentre Gherreri (Guerriero, ndr) – uno dei Giganti nuragici di Mont’e Prama, conservato al Museo archeologico nazionale di Cagliari – si trova a Roma per la mostra L’istante e l’eternità allestita nelle Grandi Aule delle Terme di Diocleziano fino al 30 luglio (https://ilmanifesto.it/listante-e-leternita-dellarcheologia-politica), un altro esemplare del complesso statuario della Prima Età del Ferro scoperto nel 1974 nella penisola del Sinis, in provincia di Oristano, è appena atterrato a New York.
Si tratta del «pugilatore» ribattezzato dai restauratori Manneddu (letteralmente: grande; nella lingua sarda il termine è usato anche con riferimento a un antenato, ndr). La scultura in calcare di 168 cm di altezza e 330 kg di peso ma dai «piedi» fragili, tra il 2021 e il 2022, ha già percorso in lungo e in largo l’Europa nel quadro della rassegna Sardegna Isola Megalitica (https://ilmanifesto.it/storie-di-giganti-in-salsa-fantasy), per poi integrare definitivamente (si fa per dire) la collezione archeologica del Museo civico G. Marongiu di Cabras. Il gigante globetrotter verrà ospitato da domani e fino al prossimo 6 dicembre presso il Metropolitan Museum of Art (Met).

COME PRECISA Max Hollein – direttore del Met la cui carica è finanziata dalla mecenate Marina Kellen French –, la statua datata tra X e IX secolo a.C. sarà installata nella galleria greco-romana, allo scopo di «arricchire la nostra conoscenza della Sardegna e delle correlate culture italiche». Alla stregua della mostra romana, nella quale Gherreri è presentato al pubblico tra alcune Stele della Lunigiana e della Daunia in un confronto tra «segnacoli» funerari, il cui comune denominatore è pretestuosamente individuato nella «divinizzazione degli antenati», Manneddu sarà esibito al Met assieme a una selezione di bronzi che riflettono l’immagine e l’ideologia guerriera.

TRA LE OPERE SCELTE per accompagnare il «pugilatore» si annoverano, oltre a statuette di guerrieri etruschi e umbri, un elmo villanoviano del IX secolo a.C. e due elmi cretesi della fine del VII secolo a.C. L’allestimento è a cura di Seán Hemingway, «John A. and Carole O. Moran Curator», e di Alexis Belis. D’altra parte, l’altissimo valore storico-culturale del sito archeologico di Mont’e Prama è stato sacrificato nella stessa Sardegna a vantaggio dell’impatto mediatico e delle ricadute turistico-economiche delle sole statue «colossali».
A questo proposito, ci si chiede se sia davvero sensato pensare che un reperto originariamente incluso in un gruppo scultoreo più ampio (sono 28 i personaggi raffiguranti arcieri, pugilatori e sacerdoti, e 16 i modellini di nuraghe finora ricostruiti dalle migliaia di frammenti rinvenuti a ridosso di una strada funeraria nella necropoli di Mont’e Prama) e avulso a convenienza dal suo contesto possa fungere da «ambasciatore» – per utilizzare il refrain della Fondazione Mont’e Prama – di un intero territorio, o addirittura rappresentare la complessità e la ricchezza della storia antica della Sardegna.
Benché la trasferta del «gigante» nella Grande Mela s’inscriva nell’ambito di un partenariato con l’Italian Academy della Columbia University, a prevalere non sono i criteri scientifici, i quali avrebbero implicato un progetto meno superficiale e scevro di sensazionalismo.

A RIPROVA DEGLI OBIETTIVI commerciali dell’evento, la Regione Autonoma della Sardegna (Ras) predisporrà a New York uno spazio denominato «Casa Sardegna» per la promozione di prodotti enogastronomici e pacchetti-viaggio. Il tutto sulla scia dello spot pubblicitario (realizzato dall’assessorato del Turismo per il mercato estero e diffuso nei media statunitensi in concomitanza del soggiorno del «pugilatore» al Met) in cui paesaggi marittimi incantati, folklore e archeologia dell’Isola si avvicendano in un turbine fantasy e parecchio kitsch, al culmine del quale un mostro della stazza di King Kong ma con le sembianze di un Gigante di Mont’e Prama solleva al cielo una donna (l’attrice sarda Caterina Murino, ndr) agghindata come una maschera del carnevale barbaricino.
L’operazione «a stelle e strisce», prevista nell’ambito del Grande Progetto Mont’e Prama e avallata dal Ministero della cultura (socio della Fondazione costituita nel 2021 per la valorizzazione del patrimonio archeologico del Sinis, https://ilmanifesto.it/monte-prama-la-fondazione-della-contesa), costerà alle casse pubbliche 330mila euro, di cui oltre un terzo destinati alle spese – comprensive di messa in sicurezza, imballaggio, trasporto via mare e via aereo, assicurazione all risks, restauratori e personale di vigilanza – per la movimentazione della scultura «nuragica».
Una cifra, quella dichiarata dalla Fondazione Mont’e Prama, che lascia perplessi, soprattutto se si considera che solamente per il trasporto di Manneddu nel tour che ha toccato le città di Berlino, San Pietroburgo, Salonicco e Napoli, la Ras ha investito da fondi europei ben 360mila euro a tappa.

DISCUTIBILE APPARE anche la scelta di cercare visibilità internazionale attraverso l’accordo con un’istituzione che da fine Ottocento ha formato le sue collezioni inglobando donazioni di privati – approvvigionatisi a loro volta attraverso il mercato, più o meno legale, dell’arte – o, in tempi più recenti, tramite acquisti spregiudicati presso antiquari o case d’asta. Le responsabilità pregresse del Met nell’alimentare gli scavi clandestini, soprattutto a detrimento del patrimonio archeologico italiano, sono d’altronde state acclarate dalla magistratura, come approfondiscono i significativi volumi di Fabio Isman (I predatori dell’arte perduta, Skira 2009), Tsao Cevoli (Storie senza voce, Centro per gli Studi criminologici, 4a edizione 2021) e Simona Modeo con Serena Raffiotta (Ladri di antichità, Lussografica 2020).
Un’inchiesta di Paolo Biondani e Leo Sisti sull’arte trafugata, pubblicata lo scorso 20 marzo su L’Espresso, sottolinea che nel catalogo dell’istituzione newyorkese compaiono 1.109 statue, vasi e reperti archeologici che appartenevano a collezionisti e mercanti incriminati o condannati per furti e ricettazioni. Sebbene negli ultimi quindici anni e dopo lunghi e travagliati contenziosi, il Met abbia restituito al nostro paese diverse opere, tra cui il celebre Cratere di Eufronio proveniente da Cerveteri (515 a.C.) e i preziosissimi manufatti in argento e lamina d’oro del cosiddetto tesoro siciliano di Morgantina (III secolo a.C.), più di 300 oggetti «sospetti» permangono nelle sue sale. E sarà forse accanto a qualcuno di questi «controversi» capolavori che l’ignaro Manneddu – sottratto come Gherreri alla vista dei sardi, i quali, dopo la petizione lanciata nel 2012, attendono con attitudine perlopiù passiva la riunificazione delle statue di Mont’e Prama, divise tra i musei archeologici di Cagliari e di Cabras – si farà «ambasciatore» di un’archeologia tanto spettacolare quanto frivola (https://ilmanifesto.it/i-giganti-nuragici-aspettano-il-loro-museo).
Un’archeologia al servizio del business e della propaganda politica che – da Pompei a Mont’e Prama passando per lo show solipsistico dell’artista Francesco Vezzoli messo in scena al Palazzo delle Esposizioni con reperti inediti del Museo nazionale romano – subordina la conoscenza generata dalla ricerca e dallo studio rigoroso dei contesti e dei dati archeologici al facile richiamo delle masse. Rendendoci forse più trendy ma anche sempre più incolti.

 

SCHEDA

L’antico insediamento di Mont’e Prama fu individuato da contadini nel 1970. Indagini archeologiche condotte tra il 1975 e il 2022 hanno rivelato una strada funeraria e un filare di tombe a pozzetto con inumazioni di maschi giovani in posizione rannicchiata. Alle sepolture, coperte da un lastrone e databili al IX secolo a.C., erano connesse 42 statue «colossali» di guerrieri, arcieri, inermi e sacerdoti -militari, 43 modelli di nuraghe e 22 betili (rappresentazioni divine non figurate). Ad occidente del complesso funerario si sviluppano edifici cerimoniali e, forse, cultuali. A questa scoperta è dedicato un nuovo contributo scientifico e divulgativo, «I giganti di Mont’e Prama, Cabras -Oristano» (C. Delfino Editore, pp. 304, 287 illustrazioni a colori e b/n, euro 40), dello studioso dell’Università di Sassari R. Zucca – coautore degli scavi nel celebre sito sardo nel 1979, 2014 e 2017 – e del direttore dei musei di Villanovaforru e Santadi G. Paglietti. Chi sono i defunti di Mont’e Prama? Analisi bioarcheologiche a cura di S. Rubino e V. Mazzarello indicano una morte traumatica, eternata dalle statue di guerrieri e di giovani iniziati al mestiere delle armi. Il libro suggerisce un evento bellico protostorico alla base del singolare monumento.