Il gabinetto di guerra israeliano insiste: «avanti fino a Rafah»
Striscia di Gaza La tregua resta lontana. Scetticismo sulla quinta missione nella regione del Segretario di stato Blinken. Gallant: pronti ad attaccare Rafah
Striscia di Gaza La tregua resta lontana. Scetticismo sulla quinta missione nella regione del Segretario di stato Blinken. Gallant: pronti ad attaccare Rafah
Oggi è uno scricciolo di bambina in un campo di tende mezzo allagato dalla pioggia che gioca a fare la giornalista, un domani, chissà, Lama Abu Jamous, 9 anni, potrebbe diventare una vera reporter. Qualche giorno fa, Lama, intervistando, per Middle East Eye, bambini come lei sfollati a Rafah, è riuscita a rendere meglio di tante parole le condizioni di vita dei più piccoli scappati assieme ai genitori – ma tanti sono orfani o non accompagnati e divisi delle loro famiglie – che lottano contro la fame e il freddo di questi giorni. Bambini che con i loro parenti rischiano oltre alla vita di dover scappare di nuovo dalla guerra e non si sa dove. Il gabinetto di guerra israeliano è sempre deciso a far avanzare i reparti corazzati anche su Rafah. Non è chiaro se il segretario di Stato Blinken, in missione in Medio oriente per la quinta volta, abbia ricevuto l’incarico di fermare l’attacco di Israele alla città sul confine tra Gaza e l’Egitto in cui sono ammassati centinaia di migliaia di sfollati o se invece restando in silenzio riaffermerà il sostegno Usa all’offensiva militare israeliana.
Le parole del ministro della Difesa israeliano Gallant lasciano pochi dubbi. «Raggiungeremo anche i luoghi dove non abbiamo ancora combattuto, nel centro della Striscia di Gaza e nel sud, e soprattutto nell’ultima (roccaforte) rimasta ad Hamas, Rafah. Ogni terrorista nascosto a Rafah dovrebbe sapere che la sua fine sarà come a Khan Younis e Gaza City», ha detto Gallant. Più di tutto è tornato a ribadire che la pressione militare favorirà la liberazione dei 136 ostaggi a Gaza. È evidente che l’uso della forza, i bombardamenti, i carri armati e l’artiglieria – che hanno fatto 100mila morti, feriti e dispersi tra i palestinesi, in maggioranza civili, denunciava ieri il commissario generale dell’Unrwa Philippe Lazzarini – erano e restano la «soluzione» preferita del gabinetto di guerra israeliano. E non le trattative per il cessate il fuoco che Blinken, dicono a Washington, dovrebbe aiutare a portare a conclusione. D’altronde il premier israeliano Netanyahu è stato esplicito in più di una occasione in questi ultimi giorni. «Non accetterò un accordo a qualsiasi costo» per la liberazione degli ostaggi, ha detto indicando che non darà il via libera a una tregua permanente e al ritiro dei soldati da Gaza come chiede Hamas oltre alla scarcerazione di prigionieri politici di primo piano.
Nei giorni scorsi il movimento islamico ha fatto sapere di aver chiesto, in cambio del ritorno a casa degli ostaggi, la liberazione di due detenuti di spicco come Marwan Barghouti (Fatah) e di Ahmed Saadat (Fronte popolare). Netanyahu lo esclude. La destra estrema rappresentata dal ministro della Sicurezza Itamar Ben Gvir peraltro minaccia di far cadere il governo se ci sarà un accordo di cessate il fuoco «sfavorevole e umiliante» per Israele. E manda sms alla popolazione chiedendo di protestare contro la «scarcerazione di terroristi». Netanyahu è a un bivio, ha rincarato ieri la dose Ben Gvir, «C’è una strada per il piccolo governo, la strada dell’idea (attuale) che ha dimostrato i suoi errori più e più volte, e c’è la strada di Otzma Yehudit (Potere ebraico) per schiacciare Hamas e smettere di dargli carburante». Il ministro non ha mancato di attaccare di nuovo gli Usa a poche ore dall’arrivo di Blinken
La guerra quindi va avanti. L’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i profughi palestinesi di cui Israele chiede la chiusura perché 12 dei suoi 13mila dipendenti a Gaza avrebbero partecipato all’attacco di Hamas nel 7 ottobre (circa 1.200 israeliani uccisi e 250 sequestrati), ieri ha mostrato riprese video che mostrano un suo centro sanitario completamente demolito tra centinaia di edifici distrutti o danneggiati gravemente. «Si tratta di un livello senza precedenti di distruzione e sfollamento forzato, che avviene davanti ai nostri occhi», ha scritto l’Unrwa. I bombardamenti ieri hanno continuato a colpire Khan Yunis, Deir al Balah e altre località. Il bilancio degli uccisi dal 7 ottobre è stato aggiornato a 27.478 e a 66.835 quello dei feriti. Tra domenica e ieri mattina sono morti 113 palestinesi.
Intanto fonti di Hamas fanno sapere che la leadership del movimento, assieme ai rappresentanti di altre organizzazioni, sta ancora riflettendo sulla proposta di cessate il fuoco emersa dal vertice di Parigi tra i mediatori del Qatar con i capi dell’intelligence di Israele, Usa ed Egitto. La posizione resta la stessa, dicono le fonti: «fermare l’aggressione israeliana, ricostruire la Striscia di Gaza e liberare i prigionieri politici palestinesi». Allo stesso tempo Hamas cerca di dimostrare di avere ancora il controllo di Gaza, i suoi combattenti sono tornati nel nord dove hanno attaccato postazioni israeliane. È riemersa in parte la struttura amministrativa di Hamas mentre poliziotti del movimento islamico si sarebbero dispiegati a protezione delle case e degli edifici ancora in piedi per evitare saccheggi.
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