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Il ferrovecchio che la Ue si ostina a tenere in vita

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Cinque lavoratori sono rimasti intossicati. Edf e Asn (l’autorità di sicurezza nucleare) hanno precisato che l’incidente non si è verificato in zona nucleare e non ha coinvolto la sicurezza del […]

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 10 febbraio 2017

Cinque lavoratori sono rimasti intossicati. Edf e Asn (l’autorità di sicurezza nucleare) hanno precisato che l’incidente non si è verificato in zona nucleare e non ha coinvolto la sicurezza del reattore che, come da procedura, è stato messo fuori servizio e vi resterà per un po’.

Rischio scampato dunque, ma per quanto tempo? L’unità 1 è in funzione da 37 anni e secondo le vecchie regole sarebbe dovuta andare già in pensione, ma è prassi ormai consolidata prorogare in tutto il mondo la vita operativa dei vecchi reattori, già estesa a 40 anni, ma che i paesi a vocazione nucleare vogliono ulteriormente prolungare.

La Francia in primis, la cui crisi economica è fortemente influenzata dal quella del suo settore nucleare a cominciare da Areva che registra un buco di bilancio enorme, perdita di commesse sul piano internazionale, contenzioso miliardario con la Finlandia per il reattore di Olkiluoto (raddoppio dei costi e dei tempi di costruzione) ma anche con Edf perché l’unità 3 in costruzione a Flamanville (di tipo Epr) è una fonte di guai, tanto che il settore progettazione e costruzione dei reattori è passato sotto la direzione di Edf.

Se a questo si aggiunge che un terzo dei reattori francesi andrebbe sostituito subito per raggiunti limiti di età, il quadro è veramente fosco e solo la «benevolenza» della Ue e della Germania hanno ridotto gli effetti di questa situazione: lo scorso aprile la Commissione europea ha presentato il programma illustrativo per l’energia nucleare da qui al 2050 dove si prevede di allungare la vita utile degli impianti che sono in funzione in Europa (129 reattori con età media pari a 29 anni) a 60 anni in modo che l’apporto dell’energia nucleare sul totale generato da tutte le fonti non scenda sotto il 20% (oggi è pari al 27%).

È un omaggio alla Francia che ha, da sola, 58 reattori nucleari con un’età media di oltre 30 anni e che non ha risorse per rimpiazzarli in tempi adeguati dato che, nell’ipotesi più ottimistica, occorrerebbero 120 miliardi di euro.

Ecco allora un altro aiuto «comunitario»: nel 2009 la Commissione Europea ha consentito che Edf (industria di stato) si comprasse British Energy per 12 miliardi di sterline nonostante le proteste del governo austriaco.

Ora Edf (insieme alla Cgn, industria di stato cinese) ha firmato un contratto per costruire due Epr da 1600 Mw ad Hinkley Point per 18 miliardi di sterline prendendosi un rischio davvero grande tanto che il suo direttore finanziario Thomas Piquemal ha dato le dimissioni.

Da notare che il contratto prevede un prezzo di fornitura dell’energia che è il doppio di quello attuale e, per evitare contrasti in sede Ue, è stato ratificato dal governo inglese solo dopo la Brexit. Ha ragione dunque Chevet, capo della Asn, a dirsi preoccupato: non altrettanto si può dire della nomenclatura europea che sta tenendo in vita (con grande spreco di denaro) un pericoloso malato terminale invece di staccargli coscienziosamente la spina.

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