Ma veramente Jürgen Habermas, l’autore di Fatti e norme, il teorico della costituzionalizzazione dei diritti umani come rivoluzione morale oltre che politica, ha definito “reazione giustificata” la risposta di Israele al crimine di guerra perpetrato da Hamas il 7 ottobre? Lo sostiene Repubblica del 15 ottobre, nel virgolettato del titolo: Il filosofo Habermas prende posizione a favore di Israele: “Reazione giustificata”.

Vediamo cosa scrive Tonia Mastrobuoni sulla presa di posizione comparsa sul sito di Normative Orders, a firma anche di Nicole Deitelhoff, Rainer Forst, Klaus Günther. 6La dichiarazione viene riassunta così: ha uno scopo – quello di dichiarare solidarietà a Israele. Ha un contenuto: affermare che alcuni principi «non dovrebbero essere in discussione». Il massacro di Hamas del 7 ottobre, «di una crudeltà insuperabile», e «volto esplicitamente a cancellare la vita ebraica in generale», li ha invece messi in discussione. Ha una conclusione: la reazione di Israele a quel massacro è «giustificata, in principio» (le virgolette basse indicano citazioni dalla dichiarazione). C’è poi un caveat, l’ammissione di un possibile eccesso di difesa: il massacro incessante di civili a Gaza, l’assenza di «una prospettiva di pace». E c’è un non licet: ma qualsiasi riflessione non dovrebbe mai sfociare in uno «slittamento della misura del giudizio» tale da attribuire a Israele l’intento di un genocidio. Segue, nel riassunto, una sorta di coda: come precedentemente aveva fatto il vicecancelliere verde Robert Habeck, “che aveva espresso la sua vicinanza a Israele rivolgendosi soprattutto alla sinistra e ai tedeschi”, anche Habermas ha come obiettivo polemico l’antisemitismo crescente in Germania, contro l’importanza che ha per la cultura tedesca contemporanea la protezione tanto degli ebrei quanto del diritto di Israele a esistere.

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Dunque: scopo, contenuto, conclusione, caveat, non licet e coda giustificano perfettamente il titolo. Le parole “reazione giustificata” sono estratte dal testo originale, e l’antisemitismo è quello di chi nega che questa reazione lo sia.

Ma è davvero questo, il testo firmato da Habermas?

Cittadini israeliani al riparo dai razzi di Hamas a Ashkelon l'11 ottobre 2023, foto Leo Correa /Ap
Cittadini israeliani al riparo dai razzi di Hamas a Ashkelon l’11 ottobre 2023, foto Leo Correa /Ap

Per niente affatto. Partiamo dallo scopo: la parola “solidarietà” compare nel titolo dell’originale tedesco, Principi di solidarietà: una presa di posizione. “Principi” traduce meglio che “fondamenti” la parola Grundsätze. E qui cambia già tutto. La parola è la stessa usata per denotare, nel contenuto della dichiarazione, i principi che «non dovrebbero essere in discussione».

Questi però nel testo non si riferiscono alla crudeltà insuperabile e genocida di Hamas: espressioni che vengono prima e descrivono il fatto che ha “scatenato” la reazione israeliana. Al contrario: si riferiscono ai principi in base ai quali giudicare se la reazione, che in linea di principio (prinzipiell) sarebbe giustificata, lo è anche per come si realizza. Sono «il principio di proporzionalità», quello di «evitare il sacrificio dei civili» e quello di condurre la guerra «nella prospettiva di una pace futura».

Curioso che questi “principi” scompaiano dal riassunto, tranne il terzo che finisce nel caveat. Li sta rispettando, Israele? Il testo dice soltanto che «è controverso».

Polizia a Londra durante una manifestazione per la Palestina, foto Ansa

E il contenuto, allora? Magro. Escludere che questa reazione possa dirsi “genocidio”. A differenza della strage di Hamas, «sterminio intenzionale degli ebrei come tali». E l’antisemitismo? Appunto. Abbia o no violato i principi, sia o no giustificata, la reazione israeliana non giustifica l’antisemitismo che, in Germania, trova oggi «un’occasione perfetta» per rialzare la testa. Caveat e non licet dicono questo.

Il riferimento alla “sinistra” nel testo non c’è proprio.

Una moschea a Khan Younis, Gaza, distrutta dai raid israeliani foto Yousef Masoud /Ap
Una moschea a Khan Younis, Gaza, distrutta dai raid israeliani foto Yousef Masoud /Ap

Conclusione (nostra, questa volta). Habermas era in Europa una fiammella viva della ragione pratica, che per definizione è super partes. Travisare la sua posizione arruolandola alla propria parte è come spegnerla. Un delitto intellettuale e morale, e non solo una violazione della deontologia dell’informazione.

E tuttavia. C’è qualcosa di infinitamente più inspiegabile e triste di un falso, magari involontario se il vero testo vi si presta, per reticenza o ambiguità.

Robert Habeck è solo un politico. Ma Habermas è un filosofo, e reticenza e ambiguità sono per la filosofia un suicidio. Come si può credere controversa la violazione dei principi del diritto umanitario, di fronte ai fatti che abbiamo tutti sotto gli occhi?

Sderot, confine Israele-Gaza foto di Mostafa Alkharouf/Getty Images
Sderot, confine Israele – Gaza, foto di Mostafa Alkharouf/Getty Images

Oggi, dalla lontana Australia, la Relatrice speciale per i diritti umani in Palestina, Francesca Albanese, punta il dito contro la comunità internazionale tutt’intera, per la sua “miopia”, la sua “amnesia”, la sua “paralisi”. Assomiglia molto di più alla voce della ragione pratica. Che in noi sussurra, afona: “Mai più”. Mai più crimini di massa, Massenverbrechen (Habermas). “Mai più”: contro gli ebrei in particolare, o contro l’umanità che negli ebrei fu negata? L’interdetto morale che l’antisemitismo viola, non è universale? Il male “assoluto” può essere relativizzato? L’etica può politicizzarsi? L’equivoco sta al fondo della storia e di noi stessi, come una bomba atomica: e senza dubbio esploderà se non lo sciogliamo.

Ma chi lo scioglierà, caro Maestro, se la filosofia stessa lo ignora? Ecco l’enigma infinitamente più triste, e più inspiegabile.