Nella lunga catena delle guerre di decolonizzazione, il conflitto algerino occupa una posto di rilievo per l’asprezza della lotta, per l’alto numero delle vittime e per i riflessi sull’assetto politico-istituzionale francese. Un altro aspetto peculiare fu la sua natura di doppia guerra civile, che oppose francesi a francesi e algerini ad algerini. In ultimo, la guerra per l’indipendenza algerina è singolare perché può essere studiata da un’angolazione del tutto speciale, a causa del ruolo che vi ebbe il calcio.

Il gioco arrivò in Africa all’inizio del Novecento, importato dai missionari e dai coloni europei. Nello spazio imperiale d’oltremare, i calciatori erano riuniti in leghe dipendenti dalla Federcalcio francese e i migliori emigravano nel campionato metropolitano. Il flusso si fece più massiccio dopo la Seconda guerra mondiale, quando i club francesi, a corto di denaro, setacciarono il più conveniente mercato nord-africano. L’approdo nel massimo campionato francese consolidò la crescita dei calciatori algerini, ma al prezzo di un doloroso conflitto interiore e di un eterno sradicamento: erano ben pagati, ammirati dalle folle e non sperimentavano la sensazione di essere cittadini di secondo livello; molti sposarono donne francesi ed ebbero figli con loro, svolsero il servizio militare nell’esercito francese e vestirono persino la maglia dei Bleus, come capitò a Rachid Mekhloufi, che nel 1957 vinse il Mondiale militare con la Francia.

D’altra parte, avevano abbandonato la loro terra, sovente in aperto disaccordo con i genitori e la comunità. Per quanto l’opposizione delle famiglie scemasse con il tempo, sentimenti misti di attrazione e repulsione erano comuni fra gli espatriati: il paese che offriva loro denaro, riconoscimento e diritti altrimenti irraggiungibili, era pur sempre quello che avevano imparato a odiare in Algeria. La stessa esperienza di Ahmed Ben Bella, il primo Presidente della Repubblica algerina democratica e popolare, illustra bene come il calcio fosse al contempo motivo di integrazione ed esclusione.

Da bambino, aveva notato che algerini, coloni francesi e le minoranze di italiani ed ebrei vivevano in relativa armonia, come provato dalle squadre di calcio integrate cui avevano dato vita; da adolescente, invece, fra i pochi algerini ammessi alla scuola superiore, comprese che il calcio era diventato una compensazione delle discriminazioni che doveva sopportare e un’ulteriore dimostrazione della condizione di minorità degli algerini. Vi erano formazioni segregate e nei rari confronti diretti i coloni prevalevano quasi invariabilmente, non perché fossero più bravi ma perché erano meglio nutriti e quindi più prestanti.

Il calcio, in quanto retaggio della secolare presenza dell’occupante, fu altresì impiegato nella lotta indipendentista per contrastare l’egemonia culturale dei colonizzatori sul loro stesso terreno. Dal 1954 rivestì un ruolo centrale nella strategia del Fronte di Liberazione Nazionale (Fln), che proprio quell’anno varò la lotta armata. L’annuncio fu diramato a Berna, dove i leader del Fln poterono riunirsi indisturbati, dato che le forze dell’ordine erano quasi interamente dedicate a sorvegliare la concomitante fase finale dei Mondiali di calcio.

Dopo i tafferugli fra giocatori e spettatori in occasione delle partite fra club europei e compagini algerine, la campagna di attentati lanciata dal Fln fra il 1956 e il 1957 costituì un netto salto di qualità: nel febbraio 1957, allo stadio d’El-Biar, una bomba uccise 10 persone, ferendone altre 36, e nel maggio successivo, al termine della finale di Coppa di Francia a Parigi, un agente del FLN assassinò il deputato algerino Ali Chekkal, favorevole a un compromesso fra l’indipendenza e l’Algeria francese. Chekkal aveva assistito al match a fianco del presidente della Repubblica francese René Coty.

Il Fln aveva tuttavia bisogno di accrescere la propria legittimazione internazionale. Come poteva affermare che non si trattava di sollevazioni sanguinose e disorganiche, ma di una vera guerra d’indipendenza? Come poteva presentarsi quale credibile emanazione di un paese in via di formazione? L’ex centrocampista del Bordeaux e militante Mohamed Boumezrag partorì un’idea geniale: i calciatori dovevano diventare gli ambasciatori della nascita della nazione.

Poco prima che in Svezia prendesse avvio la Coppa Rimet, cui giocatori come Mekhloufi avrebbero potuto prender parte con i colori transalpini, il Fln esortò i campioni algerini a unirsi alla lotta di liberazione. Il 14 aprile 1958, nove di loro abbandonarono clandestinamente la Francia. Si spalmarono della crema sbiancante sul volto e in gruppo passarono la frontiera svizzera. L’Equipe, il massimo quotidiano sportivo francese, aprì l’edizione dell’indomani con un titolo a tutta pagina, Paris Match dedicò alla fuga una sezione speciale e su Le Monde, ricordando la relativa indifferenza con cui l’opinione pubblica aveva accolto l’uccisione di Ali Chekkal, un editoriale si lamentò che faceva più notizia la diserzione di un pugno di pedatori che l’eliminazione di un deputato.

Altri giocatori si aggregarono e in quattro anni, sfidando il bando della Fifa, la squadra del Fln disputò decine di gare in giro per il mondo. La tournée cominciò nell’Africa del nord, proseguì in Medio Oriente e toccò Cina e Vietnam, dove i giocatori furono ricevuti da Zhou Enlai, da Ho Chi Minh e dal generale Giap, che aveva sconfitto i francesi a Dien Bien Phu. Le partite nell’Europa dell’est furono autentici bagni di folla, preparati dai dirigenti del blocco comunista, che nel quadro della Guerra fredda approfittarono della circostanza per sferrare un’offensiva diplomatica contro l’Occidente.

Stimare l’impatto che il tour calcistico ebbe sulla guerra d’Algeria è impresa ardua. I calciatori erano ben stipendiati dal Fln, non rischiavano la vita in prima linea e molti li consideravano degli imboscati.

D’altro canto, fu su un campo di calcio che l’inno nazionale algerino fu ascoltato per la prima volta e sempre su un campo di calcio divenne familiare la bandiera bianca e verde con la mezzaluna e la stella entrambe rosse. Fu su un campo di calcio che i membri del Fln incontrarono le rappresentanze dei paesi con cui avrebbero stretto alleanze dopo l’indipendenza e fu su un campo di calcio che lo stile offensivo e coraggioso garantì quelle vittorie che così plasticamente simboleggiavano il successo ineluttabile della rivoluzione.

Come avrebbe scritto molti anni dopo un giornalista di Le Figaro, il Fln si era ispirato al barone von Clausewitz, dimostrando che il football non è che la continuazione della guerra con altri mezzi.