Un insieme di fattori come il decimo anniversario dal colpo di stato militare, la crisi che sta affossando l’economia egiziana e la necessità di lucidare l’immagine del suo regime responsabile di una repressione di oppositori laici e islamisti, hanno spinto Abdel Fattah al-Sisi a convocare lo scorso 3 maggio il «Dialogo nazionale».

Si tratta di una serie di incontri tra esponenti di politica, società e cultura sul «futuro» dell’Egitto a cui sono seguiti, almeno sulla carta, i lavori di sottocommissioni chiamate ad affrontare oltre 100 temi di ampio respiro, tra cui elezioni, istruzione e identità nazionale.

«VI ESORTO a fare lo sforzo per rendere il dialogo nazionale un successo. Le differenze di opinione non danneggiano la causa di un nazione», ha proclamato al-Sisi in un messaggio registrato rivolto ai partecipanti. Dietro il tono conciliante del presidente egiziano, in realtà c’è una iniziativa strettamente controllata del regime, non destinata a favorire la riconciliazione nazionale e ancora meno a generare i cambiamenti politici e a sostegno dei diritti umani per cui 12 anni fa gli egiziani hanno lottato per abbattere il potere trentennale di Hosni Mubarak.

Scontata perciò l’assenza dagli incontri dei Fratelli musulmani, la principale forza di opposizione che al-Sisi nel 2013 ha rimosso con violenza dal potere e poi dichiarato «terrorista» e «fuorilegge».

Un segnale preciso dell’inconsistenza del dialogo promosso da al-Sisi si è avuto il primo giorno dell’evento quando l’analista politico Diaa Rashwan, a capo dei 19 membri del comitato organizzatore, ha chiarito che alcuni argomenti sarebbero stati vietati: politica estera, sicurezza nazionale e costituzione.

E negli incontri successivi non si è capito se rientri nel Dialogo nazionale la strategia quinquennale sui diritti umani affidata da al-Sisi a un comitato presidenziale per l’amnistia che starebbe valutando migliaia di richieste di detenuti per motivi politici. Ma non, secondo indiscrezioni, quella di Alaa Abdel Fattah, uno dei prigionieri di coscienza più noti, a conferma che i recenti passi annunciati sono solo cosmetici. Detenzioni e arresti di dissidenti e oppositori non cessano anche in questi giorni.

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Il dialogo, spiega Wisam Ata, ricercatore presso l’Association for Freedom of Thought and Expression, «non ha nulla a che fare con ciò che accade sul terreno. Chiunque faccia qualcosa di non accettabile per le forze di sicurezza, verrà arrestato, come sempre».

Khaled Dawoud, portavoce del Movimento civile democratico, coalizione di gruppi di opposizione laici e di sinistra che partecipano al «Dialogo», sottolinea come arresti e repressione pongano «seri dubbi» sull’impegno del governo per le riforme politiche. Non si sa poi che ruolo abbia nel dibattito avviato dal regime la cosiddetta Conferenza nazionale dei Giovani, istituita dallo stesso al-Sisi.

UN ATTIVISTA della sinistra egiziana che ci ha chiesto di restare anonimo, per timore di finire arrestato, spiega che «comitati e sottocomitati addomesticati daranno a Sisi le raccomandazioni che desidera in modo che possa presentare al paese un’agenda di sua scelta, sostenendo che provenga dal Dialogo nazionale, evitando così che le discussioni prendano in esame seriamente e condannino le politiche economiche del governo che si sono dimostrate fallimentari», con conseguenze pesanti per milioni di cittadini. A risollevare l’economia e la valuta nazionalenon sono bastati i 90 miliardi di dollari depositati negli ultimi anni dai paesi del Golfo nella Banca centrale egiziana.

A complicare le politiche economiche di al-Sisi è giunta anche la guerra in Ucraina. L’Egitto importa circa il 60% del grano che consuma e la maggior parte proviene da Russia e Ucraina. Mentre resta limitato il sostegno del Fondo monetario internazionale. Chi torna da un viaggio in Egitto, descrive una popolazione sottomessa e depressa, concentrata sulla sopravvivenza che fa i conti con un’inflazione galoppante.

IL «DIALOGO nazionale» comunque ha già frenato. Rashwan e gli altri coordinatori a inizio giugno hanno chiesto una sospensione delle sessioni, confermando che il dibattito altro non è che una serie di interventi di oratori sponsorizzati dallo Stato volto a cooptare ciò che resta dell’opposizione laica.

In particolare, i mubarakisti e i nasseristi, gli unici che hanno potuto entro ristretti limit, criticare le politiche del regime negli ultimi dieci anni. «I colloqui ed incontri voluti da al-Sisi – aggiunge l’attivista che ha chiesto l’anonimato – stanno permettendo ai rappresentanti del regime e del partito di maggioranza Mustakbal di stabilire un contatto diretto con l’opposizione moderata in modo da persuaderla ad accettare l’agenda dello Stato».