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Il dialetto dei cetacei

Il dialetto dei cetacei

Linguaggi Balene, delfini e orche non solo emettono suoni per «parlare» tra loro ma hanno un «linguaggio» che cambia a seconda di gruppi e contesti

Pubblicato circa 21 ore faEdizione del 3 ottobre 2024

Nella vastità degli oceani, dove la luce arriva a fatica e gli spazi sono infiniti, c’è un paesaggio segreto fatto di suoni, codici e segnali che unisce specie e intere comunità, come quelle di balene e delfini. Non è solo una questione di sopravvivenza, ma qualcosa di più: una cultura condivisa, tramandata di generazione in generazione attraverso il suono. Ma cosa c’è dietro questo straordinario meccanismo? E come riescono i cetacei a comunicare e a trasmettere la loro conoscenza per miglia e miglia, in acque spesso ostili?

LA POTENZA DEL SUONO NEGLI OCEANI. Per gli abitanti del mare, il suono è tutto. A differenza della luce, che si perde presto nell’acqua, le onde sonore viaggiano velocemente e senza fatica: il suono viaggia cinque volte più velocemente in acqua che nell’aria! Questo ha dato ai cetacei un grande vantaggio: sfruttare il potere delle onde sonore per trovare cibo, orientarsi e soprattutto per comunicare. Gli scienziati hanno scoperto che balene, delfini e orche non solo emettono suoni per «parlare» tra loro e riconoscersi individualmente, ma sono in grado di modificare e apprendere vocalizzazioni, proprio come noi esseri umani facciamo con le parole. Questi animali, infatti, non si limitano a riprodurre semplicemente suoni per avvertire i compagni di gruppo di un pericolo o della presenza di una preda. Il loro è un «linguaggio» vero e proprio, ricco e articolato, che cambia a seconda del gruppo e del contesto. Questo tipo di comunicazione, noto come comunicazione acustica, permette loro di trasmettere messaggi complessi su distanze oceaniche.

CAPODOGLI E ORCHE: IL LINGUAGGIO segreto delle onde sonore. Un esempio affascinante di questo complesso sistema di comunicazione è quello dei capodogli, che utilizzano una sorta di «click» ritmici chiamati codas per comunicare. Immaginate un gruppo di capodogli nel Mediterraneo che emette sequenze di click, per esempio tre click seguiti da una pausa e un quarto click – il cosiddetto «dialetto» 3+1. Ogni gruppo ha il suo repertorio di codas, una firma sonora che lo identifica, come un vero e proprio dialetto acustico che distingue i membri di un clan dagli altri.

LE ORCHE, DAL CANTO LORO, non sono da meno. Anche se appartengono a una sola specie, le orche si dividono in vari gruppi sociali chiamati pod, ognuno con le proprie tradizioni e vocalizzazioni. Un’orca che appartiene a un certo pod possiede un dialetto, che è diverso da quello di un’altra orca di un pod differente. È come se ogni gruppo avesse il proprio «linguaggio» esclusivo, e questo non solo rafforza i legami sociali, ma potrebbe persino influenzare la scelta del partner, evitando accoppiamenti tra individui troppo imparentati.

LA CULTURA SI TRAMANDA… COL SUONO! Ciò che rende questi animali così straordinari è che questa cultura sonora non è innata, ma viene appresa. Proprio come noi impariamo la lingua dai nostri genitori e insegnanti, così i giovani cetacei acquisiscono le loro vocalizzazioni dagli adulti. Ma c’è di più: non è solo un’eredità «familiare» di tipo verticale. La trasmissione della cultura sonora può avvenire anche in modo orizzontale, tra membri della stessa generazione, ma anche in modo obliquo, tra individui di diverse generazioni non necessariamente imparentati. In pratica, è come se uno «zio» orca insegnasse ai giovani del gruppo nuove tecniche di caccia o nuovi suoni da usare nelle interazioni sociali. Questo apprendimento costante lungo tutta la vita permette ai cetacei di adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente marino, che può essere incredibilmente variabile. Le tecniche di caccia, le rotte migratorie e persino i «dialetti» possono evolversi e modificarsi, offrendo a questi animali la capacità di innovare e tramandare preziose informazioni culturali alle generazioni future.

UN PATRIMONIO CULTURALE CONDIVISO. La cultura acustica nei cetacei rappresenta uno dei rari esempi di cultura non umana, un fenomeno che non smette di affascinare i ricercatori. Come nei clan umani, anche tra i cetacei la cultura rappresenta un collante sociale fondamentale. Non si tratta solo di sopravvivenza, ma di un modo per mantenere coesa la comunità, per sviluppare legami che superano la semplice biologia. Questa cultura viene condivisa e tramandata come un prezioso bagaglio di conoscenze, che consente ai membri di un gruppo di sopravvivere e prosperare in ambienti a volte estremamente ostili.

LE VOCALIZZAZIONI NON SERVONO SOLO a coordinare la caccia o a proteggere i piccoli dai predatori. I suoni prodotti dai cetacei sono veri e propri strumenti culturali, simili alle canzoni popolari che attraversano le generazioni. I ricercatori hanno osservato, ad esempio, che i capodogli utilizzano varianti di codas diverse a seconda della distanza geografica tra i gruppi. Questi suoni diventano così una sorta di marchio di appartenenza culturale, proprio come un accento o un dialetto ci permette di riconoscere da dove viene una persona.

LA CULTURA SONORA DEI CETACEI ci insegna che l’evoluzione non riguarda solo i geni, ma anche le idee, i comportamenti e le tradizioni. Proprio come nell’essere umano, anche nei cetacei la cultura si evolve nel tempo, seguendo un percorso simile a quello darwiniano: apprendimento sociale, variazione dei comportamenti e selezione delle pratiche più efficaci. Ma il mare è un ambiente imprevedibile. I cetacei, grazie alla loro capacità di adattarsi e innovare, sono riusciti a creare una complessa rete di tradizioni che li ha aiutati a sopravvivere a lungo. L’apprendimento non avviene solo nei primi anni di vita: i cetacei continuano a scambiarsi informazioni e a innovare lungo tutto l’arco della loro esistenza, trasformando il mare in un luogo di creatività culturale.

SEBBENE LA NOSTRA CONOSCENZA della cultura acustica nei cetacei sia ancora agli inizi, ciò che sappiamo è sufficiente per cambiare il modo in cui li percepiamo. Non sono semplici animali marini, ma individui con una propria storia, con legami e tradizioni che attraversano le generazioni. La comunicazione acustica rappresenta solo la punta dell’iceberg di una complessa vita sociale e culturale che stiamo appena iniziando a comprendere.

IL FUTURO DELLA RICERCA SU QUESTO TEMA promette scoperte affascinanti, aprendo la porta a una comprensione più profonda delle similitudini tra noi e le creature che abitano gli oceani. La cultura, come il suono, può essere un ponte che unisce, attraverso le onde, mondi apparentemente distanti ma sorprendentemente simili. Ma l’uomo sta alterando anche questo complesso e fondamentale sistema: l’aumento dei livelli di rumore di origine antropica, soprattutto a causa dell’intenso traffico marittimo, può mascherare o alterare i segnali acustici prodotti dalle specie marine, compromettendone l’efficacia. L’esposizione prolungata ad elevati livelli di rumore può inoltre indurre gli animali ad allontanarsi dal loro habitat e a non riprodursi, oltre a poter provocare danni fisici e fisiologici anche letali. L’ambiente marino non è il mondo del silenzio, ma un vero e proprio paesaggio sonoro dove ciascuna componente contribuisce al mantenimento di quella diversità acustica necessaria per mantenere funzionale l’ecosistema marino.

*Daniela Silvia Pace, esperta di cetacei e
di acustica in ambiente marino e docente di Ecologia e Comportamento acustico dei mammiferi marini presso l’Università di Roma La Sapienza, sarà presente al Pianeta Terra Festival sabato 5 ottobre alle 10 all’Orto Botanico per parlare di Click, fischi e canti: il linguaggio della comunità delle balene e dei delfini: nelle profondità marine, anche del Mediterraneo, si possono ascoltare le voci dei mammiferi più grandi del mondo. I «click» e «trumpet» dei capodogli sono suoni che i grandi cetacei emettono e arrangiano come una musica, in modo diverso a seconda della funzione, per comunicare, navigare, orientarsi. Quando una specie è capace di creare e comunicare comportamenti, siamo in presenza di un potenziale enorme perché ogni individuo può apprendere e cooperare con l’altro. Questa modalità di trasmissione, ritrovata solo in pochissime specie oltre l’uomo, tra cui i capodogli, è ciò che chiamiamo cultura.

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