Ambientato negli anni Ottanta in un villaggio sperduto dell’Iran, il romanzo L’ultimo gioco di Banu è quanto mai attuale perché narra le vicende di una ragazza di provincia, vittima di un sistema patriarcale in cui anche le donne possono avere il ruolo di carnefici. A salvarla dagli intrighi del destino saranno l’intelligenza e la determinazione.

ORFANA DI PADRE, Banu vive con la madre e il fratellino. A cambiarle la vita sono i libri che riceve in dono da Akhtar, una militante nei Fedayeen del Popolo (un gruppo armato di opposizione al governo), appartenente alla famiglia dove la madre fa le pulizie. Sono quei volumi a farle immaginare un futuro diverso, lontano dal matrimonio combinato con un cugino scapestrato. In Iran la scuola è gratuita e obbligatoria. Fin da piccola, tutto l’impegno di Banu viene rivolto allo studio: è la prima della classe. A turbarle l’esistenza è però la morte violenta della giovane Akhtar.

Alle soglie dell’adolescenza, Banu si innamora di un ragazzo cresciuto a Teheran in una famiglia ricca, con il padre colonnello che comanda e ruba a destra e manca. Lui si sente in debito di fronte alla massa indigente e sventurata e, per questo, decide «insieme ai suoi compagni di università di andare a lavorare per i diseredati. «Prima facevamo lavoretti al sud (della capitale), nei quartieri poveri, come aggiustare i tetti, pulire le strade, fare riparazioni e così via. Poi siamo passati ai villaggi per aiutare i contadini nel periodo della raccolta». Infine, «dopo la rivoluzione del 1979 e la chiusura delle università, un amico che veniva da Kerman ha proposto di provare con le attività culturali. Diceva: “L’attività didattica vuol dire istruire la popolazione”. È stato lui a procurarmi un posto come insegnante presso gli uffici del ministero dell’Istruzione. Ho scelto un villaggio di nomadi, non c’era né acqua né luce, era pieno di ragazzini analfabeti».

DOPO UN PERIODO nel paesino dove vive Banu, il giovane torna a Teheran. Svaniscono così le speranze di sposarsi con un laureato di buona famiglia. Passano le stagioni. I buoni voti a scuola non sono sufficienti a cambiare il destino di un’orfana, anche perché nell’Iran degli anni Ottanta non sono le ragazze a decidere. Ed è così che la madre accetta – per conto della figlia – l’offerta di matrimonio di un uomo di regime, benestante. Un signore maturo, con il turbante del clero sciita e, sullo scaffale, solo libri di teologia, non romanzi. È lui il responsabile della morte di Akhtar. Banu non ha scelta: in cambio della verginità della figlia, la madre intasca il denaro indispensabile alla sopravvivenza e finanche al benessere. In Iran funziona così: si chiama mehrieh ed è il «prezzo della sposa».

OPERA DELLA SCRITTRICE Belgheis Soleymani, nata nella provincia di Kerman nel 1963 e attualmente residente in Iran, questo bel romanzo è suddiviso in capitoli narrati da voci diverse. È stato ristampato una dozzina di volte, nel 2006 ha vinto il prestigioso premio Mehregan nella sezione miglior romanzo. Nello stesso anno, ha avuto la menzione speciale al premio letterario di Isfahan. Tradotto in inglese e in arabo, in italiano è disponibile nella traduzione dal persiano di Faezeh Mardani, docente di Lingua e letteratura persiana contemporanea all’Università di Bologna. È pubblicato dall’editore milanese Francesco Brioschi nella collana Gli Altri. L’ultimo gioco di Banu (pp. 248, euro 18) sarà presentato alla Casa delle donne di Milano il 3 novembre alle 18:30 nell’ambito di un evento dedicato alle proteste in Iran.