Ci voleva forse la vocazione ad essere, o perlomeno a percepirsi in qualche modo come uno «storico di frontiera» da parte di Guido Crainz per delineare con tale precisione le sfide con cui il Vecchio Continente si sta misurando in questo momento. Oggi che l’idea stessa di un’unione politica e culturale, prima ancora che dalle crepe e dalle crisi interne emerse nel corso della sua lunga storia, è stata scossa drammaticamente dall’irrompere sulla scena dei carri armati russi lo scorso 24 febbraio.

Raramente un libro riesce a porre le domande più importanti nel momento stesso in cui si producono almeno alcune delle vicende cui fa riferimento, taluni non riescono a farlo neppure a distanza di molto tempo. Ombre d’Europa. Nazionalismi, memorie, usi politici della storia (Donzelli, pp. 188, euro 19) – che Crainz presenterà domani insieme a Marco Damilano a Più libri più liberi (ore 15 alla Sala Elettra della Nuvola dell’Eur a Roma) – ha invece la capacità di illustrare l’intero scenario di cui sembra comporsi il contesto attuale, senza peraltro rinunciare a tentare di raccogliere la sfida che poneva già tanti anni fa Marc Bloch parlando di come «l’incomprensione del presente cresce fatalmente dall’ignoranza del passato».

SE GLI SGUARDI RIVOLTI al contesto europeo offrono con grande cura la molteplicità delle analisi emerse fin qui sul tema, è in uno dei punti di approdo del volume che ci imbatte in quella preziosa vocazione a muoversi lungo i confini, concreti come simbolici, di Crainz, già docente di Storia contemporanea all’Università di Teramo e autore di decine di opere, tra cui – tre le più recenti – Storia della Repubblica (2016), Il Sessantotto sequestrato. Cecoslovacchia, Polonia, Jugoslavia e dintorni (2018) e la cura, insieme ad Angelo Bolaffi, del progetto Calendario civile europeo. I nodi storici di una costruzione difficile (2019), tutti per Donzelli.

La dimensione europea è infatti descritta a partire dalla considerazione che le due parti del continente, rispettivamente quella occidentale e quella orientale appaiano «quasi eredi di due diversi Novecento» e che i loro cittadini «abitino tempi e non solo spazi intimamente diversi». Esattamente una delle condizioni con cui ci si deve misurare oggi se si vuole capire fino in fondo il modo differente con cui si guarda alla Russia di Putin che lo si faccia da Varsavia o Vilnius piuttosto che da Roma o Parigi.

CONSIDERAZIONI, sull’eredità di lungo periodo della Cortina di ferro in una parte del Continente cui si aggiunge la visione dell’intellettuale polacco Adam Michnik sul fatto che la caduta del Muro non sia stata accompagnata solo da progetti democratici e riformisti legati allo sviluppo della società civile, ma che anzi «il totalitarismo agonizzante lascia in eredità un nazionalismo aggressivo e l’odio tribale» e che «l’eventuale vittoria di queste tendenze trasformerebbe l’Europa centrale e orientale in un inferno di conflitti nazionali e scontri sanguinosi». Ciò che, supportato via via dalla miopia e dall’ignavia dell’Occidente, sarebbe stato alla base del tragico incendio dei Balcani già all’inizio degli anni Novanta.

DEFINITO come l’immagine che si rivela, con una certa ritrosia anche per l’imbarazzo dei suoi protagonisti istituzionali, sia quella di un Continente profondamente diviso, è nell’analizzare i diversi aspetti di ciò che ha ribattezzato come «la controversa Europa delle memorie» che Crainz offre ulteriori spunti utili a leggere il presente. Da un lato c’è la Russia di Putin che sembra caratterizzarsi per «uno stretto intrecciarsi di pedagogia autoritaria, di repressione del dissenso e di una politica volta a occupare di nuovo lo spazio ideale e politico dell’Urss e – più ancora – della Russia zarista».

Dall’altro c’è quella parte d’Europa dove il fantasma del lungo e opprimente dominio sovietico impedisce spesso ancora oggi di fare i conti fino in fondo con le contraddizioni della memoria nazionale. Il catalogo è ampio e noto e Ombre d’Europa contribuisce ad illustrarlo con dovizia di fonti e impressioni di prima mano. È il contesto – tra Polonia, Ungheria, Repubbliche baltiche, Slovacchia, Romania e in parte almeno i Paesi nati dalla ex Jugoslavia – in cui «l’esigenza di non rimuovere la drammaticità del totalitarismo comunista, di non appannare il ricordo dei crimini e delle tragedie di cui segnò anch’esso il Novecento», si intreccia sovente «alla sostanziale rimozione o negazione della centralità della Shoah, con forme di auto-assoluzione che largamente cancellano le proprie responsabilità in essa».

In entrambi i casi, «le politiche della storia», la «manipolazione del passato» si potrebbe dire con fare meno discreto, contribuiscono deliberatamente ad edificare un presente spesso dai contorni sinistri. In molte realtà dell’Europa centro-orientale è il software su cui si sviluppa un sovranismo aggressivo e autoritario, a Mosca è addirittura la benzina per la macchina bellica di un nuovo imperialismo.

DI FRONTE A QUESTO SCENARIO inquietante, sembra suggerire Crainz, l’Europa deve ritrovare non solo la propria dimensione di sogno di libertà, ma anche se non soprattutto di patrimonio condiviso dove memorie e identità si possano misurare per sciogliere anche i nodi più dolorosi del passato. Come fare? E se, come lo storico affida alle inquietudini di Stefan Zweig, e un secolo più tardi a quelle più prosaiche di Petros Markaris, si partisse dalle nuove generazioni? «In quale Paese si insegna ai ragazzi storia europea? Cominciamo da lì, allora, dal basso, dalla scuola dell’obbligo».