Il Consiglio d’Europa contro il decreto ong «Il governo lo ritiri»
La commissaria per i diritti umani scrive a Piantedosi: assicurarsi che il testo rispetti gli obblighi previsti dal diritto internazionale
La commissaria per i diritti umani scrive a Piantedosi: assicurarsi che il testo rispetti gli obblighi previsti dal diritto internazionale
La bocciatura non potrebbe essere più netta e dà voce alla preoccupazione che il decreto ong, in discussione proprio in questi giorni alla Camera, possa rappresentare un ostacolo all’attività di soccorso dei migranti in difficoltà nel Mediterraneo. Al punto che Dunja Mijatovic, commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, nei giorni scorsi ha scritto al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi chiedendogli di «considerare la possibilità di ritirare il decreto legge» oppure di approfittare del dibattito parlamentare per apportare le modifiche necessarie «per assicurare che il testo sia pienamente conforme agli obblighi del Paese in materia di diritti umani e di diritto internazionale». Altrettanto netta la replica del Viminale, che bolla i timori espressi dalla Commissaria come «infondati».
Dopo settimane di silenzio, per la prima volta a livello internazionale una voce autorevole esprime tutti i dubbi sul provvedimento varato dal governo Meloni per «regolamentare» il lavoro delle navi umanitarie. Il Consiglio d’Europa è un organismo che ha sede a Strasburgo ma non ha niente a che fare con le istituzioni Ue. Ne fanno parte 46 Paesi (a marzo del 2022 la Russia ne è uscita) e si batte per il rispetto dei diritti umani. Motivo che il 26 gennaio ha spinto Mijatovic a scrivere a Piantedosi non nascondendo «di essere preoccupata che alcune delle regole contenute nel decreto ostacolino la fornitura di assistenza salvavita da parte delle ong nel Mediterraneo centrale».
La commissaria punta il dito in particolare sulla norma secondo la quale un volta compiuto il primo salvataggio, la nave deve raggiungere subito il porto indicato per lo sbarco dei naufraghi. Una disposizione che «come già accaduto, impedisca alle ong di effettuare salvataggi multipli in mare, costringendole a ignorare altre richieste di soccorso nell’area se hanno già delle persone a bordo». Se i comandanti delle navi dovessero rispettarla, scrive Mijatovic, «verrebbero di fatto meno ai loro obblighi di salvataggio sanciti dal diritto internazionale».
Altra questione messa in evidenza riguarda l’estrema distanza dei porti che ogni volta vengono assegnati alle navi. «Luoghi lontani nel centro e nel nord Italia», scrive Mijatovic, per la quale la scelta «prolunga le sofferenze delle persone salvate in mare e ritarda indebitamente la fornitura di un’assistenza adeguata a soddisfare i loro bisogni primari».
E a nulla valgono le giustificazioni fornite finora dal governo, secondo le quali la scelta di porti distanti servirebbe a decongestionare i centri del Sud Italia permettendo una migliore distribuzione dei migranti: «Questo obiettivo – scrive infatti la commissaria potrebbe essere raggiunto sbarcando rapidamente le persone soccorse e assicurandosi che ci siano accordi pratici alternativi per redistribuirle in altre zone del Paese».
Alle osservazioni della commissaria il governo replica respingendo ogni addebito: Per quanto riguarda l’obbligo di raggiungere subito il porto indicato per lo sbarco «ciò che la nuova norma intende evitare – è scritto il governo nella risposta a Mijatovic – è piuttosto la sistematica attività di recupero dei migranti nelle acque antistanti le coste libiche e tunisine al fine di condurli esclusivamente in Italia, senza alcuna forma di coordinamento». Quanto all’assegnazione dei porti «lo scopo di questa scelta è piuttosto quello di redistribuire tra le regioni gli oneri organizzativi e logistici legati alla gestione degli sbarchi, alleggerendo così il peso su Lampedusa, la Sicilia e la Calabria». Insomma, chiusura totale.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento