Le conquiste di Tamerlano, compiute fra 1370 e 1405, sono state una meteora, eppure hanno segnato la memoria e l’immaginario collettivi tanto in Asia quanto in Europa. Nel Rinascimento ne parlarono Poggio Bracciolini, Machiavelli, Paolo Giovio; di lui si impadronirono drammaturghi come Marlowe e librettisti d’opera; a lui è dedicato il settimo libro del Divano occidentale-orientale di Goethe. Lo ricorda Michele Bernardini nei due capitoli che fanno da conclusione al suo Tamerlano. Il conquistatore delle steppe che assoggettò l’Asia dando vita a una nuova civiltà (Salerno, pp. 576, euro 32).

Delle grandi conquiste di Gengiz Khan e dei suoi discendenti restavano tracce fra l’Asia e l’Europa: vi era il khanato dell’Orda d’Oro fondato da Batu, che stabilì la sua capitale a Saraj, sul Volga; quello di Persia che aveva cominciato a perder forza, cosa della quale avevano immediatamente approfittato i principati arabi, turchi, persiani e georgiani che erano insediati ai suoi margini; quello del Ciaghatay, compreso tra il fiume Oxus (l’odierno Amu Darya) e la Mongolia, che subiva analogo processo di destrutturazione. L’area orientale vedeva la presenza di tribù ancora favorevoli alla cultura tradizionale e al buddismo, mentre quella occidentale era maggiormente islamizzata, sebbene non del tutto dimentica della cultura originaria.

IL LUOGO DI ORIGINE di Timur si trovava un po’ nel mezzo: si tratta del villaggio di Haji Ilgar, dipendente dalla città di Kesh, oggi Shahr-i Sabz, «la città verde», situata a un centinaio di chilometri a sud di Samarcanda. Timur vi nacque nel 1336; il nome col quale lo conosciamo, Tamerlano, deriva da «Timur-i-lang», ovvero «Timur lo zoppo», e che davvero il grande condottiero soffrisse di una malformazione alla gamba lo ha confermato, come spiega Bernardini, la vicenda dell’esumazione del suo corpo, seppellito nel mausoleo Gur-e Amir a Samarcanda.
Il corpo di Timur fu esumato dalla sua tomba il 19 giugno 1941 e i suoi resti furono esaminati dell’equipe dell’antropologo sovietico Mikhail M. Gerasimov, il quale ricostruì anche le sembianze di Timur a partire dal suo cranio.

Uno studio antropologico del suo cranio mostra che apparteneva prevalentemente al tipo mongoloide della Siberia meridionale, che era alto 173 centimetri, abbastanza per sua epoca; gli esami confermarono che Timur era marcatamente zoppo e aveva anche un problema all’osso del braccio, forse a causa di ferite riportate. Il padre, Taragai, era tuttavia capo dell’ulus dei barlas, mongoli e musulmani fortemente turchizzati, mentre della madre si sa poco, forse a causa della sua bassa condizione, della quale Tamerlano risentì per tutta la vita, nonostante gli straordinari successi militari.

FAVORITO DALLE LOTTE che opponevano i diversi gruppi mongoli e dalla debolezza dei khan del tempo, nonché dalla sua accorta politica guerriera, nel 1369 Tamerlano si trovò a essere il padrone dell’intera Transoxiana.
L’anno successivo egli assunse il titolo di emiro, cui fece tuttavia accompagnare il titolo di «grande», a significare che si riteneva «emiro degli emiri», capo di tutti i principi di Transoxiana. Fra le decine di mogli compare una discendente di Genghiz Khan, la principessa Saray Mulk Khanum, il che gli conferiva il diritto di fregiarsi del titolo di kürgen, «genero imperiale».
Secondo il nuovo corso impresso alle sue ambizioni, che lo conducevano sempre più lontano dalle originarie tradizioni nomadi delle tribù turco-mongole, egli decise d’insediarsi anche in una vera e propria capitale: scelse Samarcanda, una città famosa perché vi aveva soggiornato Alessandro Magno ed era stata il centro di quella cultura ellenico-bactriana in cui si era realizzato l’incontro tra il mondo greco e quello indiano. Samarcanda era anche l’emporio più importante situato lungo la via della seta.

Tanto Tamerlano quanto i suoi immediati successori avrebbero fatto delle città di questa regione, l’attuale Uzbekistan, dei centri artistici e scientifici di grande bellezza e importanza. Tamerlano cominciò inoltre a fornire il suo impero di istituzioni, formalizzando la convocazione di periodici kuryltai che avrebbero dovuto fornire legittimità al suo governo – in realtà dispotico – fornendogli l’aspetto di regime fondato sulla condivisione di poteri tra il «grande emiro» e gli altri prìncipi. Nei tre decenni successivi egli condusse campagne militari travolgenti e spietate, dirette in tutte le direzioni; all’alba del XV secolo il suo impero toccava il Caucaso, includeva il Caspio meridionale e centrale, il lago d’Aral e tutta l’area tra Syr-Darja e Indo.

TRA I POTENTATI mediterranei che potevano fargli ombra, solo quello ottomano era in grado di resistergli. E proprio l’avanzata dei turchi verso Occidente, fece pensare agli occidentali che gli interessi dell’Europa e del khan di Samarcanda coincidessero. Tamerlano richiamava la travolgente ondata mongola d’un secolo e mezzo prima, e con tale memoria riaccendeva le speranze di un’alleanza tra i popoli delle steppe e la Cristianità per sconfiggere non più l’Islam – egli stesso era musulmano – quanto la potenza ottomana, unica a fargli concorrenza nell’egemonia sul mondo uralo-altaico. Inoltre, i mercanti europei speravano in una nuova pax mongolica, che avrebbe aperto le sicure carovaniere che dal Mar Nero e dall’Armenia, attraverso la Persia, conducevano all’Asia orientale.

TAMERLANO, che si apprestava a combattere gli ottomani, non lasciò cadere queste proposte; sperava di ottenere grazie a un’alleanza con Genova e con Venezia quell’appoggio navale di cui mancava. Alla fine del luglio 1402, presso Ankara, mongoli e ottomani si scontrarono e la vittoria arrise ai primi, ma a quel punto non è certo che la marcia del condottiero verso occidente si sarebbe fermata lì. Fortunatamente per ottomani ed europei, però, Tamerlano aveva mire differenti, poiché puntava alla Cina dei Ming che nel 1368 avevano rovesciato i mongoli della dinastia Yuan.
Tuttavia, partendo per quest’impresa, nel 1405 il grande conquistatore morì inaspettatamente e il suo immenso impero si frammentò in potentati ostili fra loro. Il Tamerlano di Bernardini racconta in modo eccellente la storia della costruzione di questo impero effimero nella dimensione politica, ma che ha lasciato, oltre alle tracce nella letteratura, anche il patrimonio architettonico dell’Uzbekistan che ne fa il cuore magnifico di un’Asia nella quale l’Islam incontra e si fonde con la tradizione dei cavalieri delle steppe.