Basta post per Sima Nan, blogger cinese celebre per le posizioni anti-occidentali. Mentre si avvicina il XX Congresso del Partito comunista cinese e si rincorrono le voci sulle nomine, con l’attenzione sulla corsa al ruolo di premier tra Hu Chunhua e Wang Yang per capire se e quanto verrà controbilanciato il potere di Xi Jinping, Pechino inizia le «pulizie» digitali.

Dopo l’overdose di nazionalismo in concomitanza con la visita a Taiwan di Nancy Pelosi, le autorità stringono la briglia. Come in passato si era intervenuti sulle voci liberali, stavolta si interviene sulle ultranazionaliste. Senza dimenticare gli attivisti che si posizionano alla sinistra del Partito.

ECCO ALLORA il congelamento dell’account di Sima Nan (vero nome Yu Li), a cui è stato impedito di postare su Weibo, WeChat, Bilibili e Douyin «per violazione delle leggi e dei regolamenti pertinenti», anche se i suoi post precedenti restano intatti. Sinora le sue posizioni, seguite da 44 milioni di follower tra le varie piattaforme, erano sempre state tollerate dalle autorità.

È diventato influente con le sue prese di posizione anti-americane e anti-occidentali nelle quali non attacca il governo centrale, bensì i privati. A partire da imprenditori, celebrità e colossi tecnologici a suo dire non abbastanza patriottici. Tutto in linea con la vasta campagna di rettificazione lanciata da Xi Jinping proprio sugli stessi settori.

COSÌ COME le sue invettive sul fronte economico ben si sposavano con la retorica della prosperità comune promossa anche in questi giorni dagli organi ufficiali del Partito. Non è l’unico caso. Silenziati anche Lu Kewen e Kong Qingdong, professore della Peking University celebre per gli insulti rivolti agli oppositori di Hong Kong.

Il discorso, soprattutto in questo momento, deve essere governato solo dal Partito: nessuno, neppure le voci scatenate in passato quando erano utili, possono rischiare di spingere il governo a muoversi su binari o a una velocità diversi da quelli desiderati. Il caso di Hu Xijin, ex direttore del Global Times prepensionato, insegna.

Il momento è delicato anche per i colossi tecnologici. Per alcuni, incide l’azione del governo volta a ridurre potere e autonomia delle aziende private, per erodere le posizioni dominanti. Pochi giorni fa Tencent ha registrato il primo calo di ricavi e utili dalla sua quotazione nel 2004, risultato anche delle limitazioni in materia di videogiochi.

Tante aziende – comprese Alibaba, Bytedance, Xiaomi, Baidu e la stessa Tencent – sono state costrette a consegnare i propri algoritmi. Per altri, le responsabilità sono esterne. «Le aspettative troppo ottimistiche per il futuro devono essere corrette, e nel 2023 o addirittura fino al 2025 dobbiamo adottare la modalità di sopravvivenza», ha scritto Ren Zhengfei, il fondatore di Huawei, in una nota interna visionata dall’agenzia Yicai. Parole che suonano incredibili se si riavvolge il nastro a poco più di due anni fa: il colosso cinese sembrava in procinto di conquistare il mondo tra smartphone, 5G e cavi sottomarini.

L’ARRESTO di Meng Wanzhou, figlia di Ren, in Canada e soprattutto l’inserimento nella blacklist Usa hanno però invertito la tendenza. Tanto da portare Huawei, stando al suo fondatore non smentito dall’azienda, ad avere come «programma più importante» la sopravvivenza. «Huawei deve cambiare il suo modo di pensare, concentrandosi sui flussi di cassa invece che sulle vendite», ha aggiunto Ren, preannunciando la riduzione delle attività marginali con possibili nuovi tagli dopo quelli del 2021.