Il colpo di stato di Kais Saied è condannato
Tunisia Parla Jahouar Ben M’barek, costituzionalista e docente di sinistra, fondatore di un movimento contro il golpe dello scorso luglio del presidente tunisino, che «da sempre nasconde un dittatore
Tunisia Parla Jahouar Ben M’barek, costituzionalista e docente di sinistra, fondatore di un movimento contro il golpe dello scorso luglio del presidente tunisino, che «da sempre nasconde un dittatore
Di sinistra, democratico e progressista. Traditori, alcolizzati e virus. Due descrizioni agli antipodi, utili per capire il grado di polarizzazione attorno a quello che è successo in Tunisia il 25 luglio scorso e nelle settimane successive, con la sospensione del parlamento e i pieni poteri tramite cui il presidente della Repubblica Kais Saied sta governando il paese.
«Ho fatto delle ricerche per capire chi tra i capi di Stato avesse mai utilizzato questi termini contro i suoi oppositori, non c’è presidente che ha trattato i suoi concittadini come traditori, virus o batteri», racconta Jahouar Ben M’barek, costituzionalista e docente all’Università La Manouba di Tunisi. Oggi Ben M’barek è anche uno dei volti più riconoscibili tra chi non fa fatica a definire «colpo di Stato» le misure eccezionali imposte da Saied in una calda serata di estate tunisina. Lo fa soppesando ogni singola parola, come quando si definisce di sinistra, democratico e progressista per allontanare pericolosi accostamenti e legami diretti con Ennahda, la forza politica più tangibile alle manifestazioni indette in queste settimane dal suo movimento Cittadini contro il colpo di Stato. Il partito di ispirazione islamica, alle prese con una durissima crisi interna, non era presente in maniera diretta alle proteste, i suoi militanti invece erano molti.
Per lei quello che è successo il 25 luglio scorso è un colpo di Stato. Ce lo si poteva aspettare?
Conosco Kais Saied dai tempi della rivoluzione del 2011. Già all’epoca aveva un suo progetto politico e istituzionale. Ha continuato a vederlo nei dettagli in maniera un po’ impulsiva e ha cominciato a mostrarsi come una sorta di predicatore nelle regioni e nei piccoli villaggi dicendo che il suo programma poteva salvare non solo la Tunisia ma anche l’umanità. Sostiene che possiamo strutturare il potere per darlo al popolo, è un discorso estremamente populista e tecnocratico. Per questo oggi rifiuta il dialogo, non ha niente da dividere con nessuno. Lui dice sempre che l’unico che lo può giudicare è Dio e la sua missione è storica e divina.
Anche dopo l’elezione di Kais Saied nel 2019 si poteva prevedere quello che sarebbe successo il 25 luglio con la sospensione del parlamento e lo scioglimento del governo?
La definizione stessa di colpo di Stato, parlo in quanto giurista, vuole dire cambiare i rapporti di forza e rompere la legittimità democratica fuori da ogni tipo di legalità. Dev’essere preparato e non è una reazione immediata, Saied l’ha pianificato su un anno, abbiamo le prove. Ci sono diverse tappe: le dimissioni forzate del governo Fakhfakh nel 2020, io ero suo consigliere all’epoca; la nomina di Hichem Mechichi a premier imponendogli un diritto di veto presidenziale prima che entrassero in conflitto; il rifiuto di rettificare la riforma della corte costituzionale e l’integrazione delle forze di sicurezza interne nell’esercito. Poi c’è la questione della personalità di Saied che da sempre nasconde un dittatore attraverso un programma populista che sta applicando fin dall’inizio.
Qual è il futuro istituzionale della Tunisia?
Penso che Saied non abbia i mezzi per continuare e il suo colpo di Stato sia condannato. La situazione economica e finanziaria del Paese è catastrofica. Al momento beneficia di un certo credito ma non durerà molto. Le finanze dello Stato sono esaurite e dovremo vedere quando inizieranno i primi movimenti sociali. Saied inoltre non rispetta l’opinione contraria e non può essere portatore di valori democratici. Cos’è la democrazia? È un progetto che gestisce le differenze e le contraddizioni. Lui non sopporta le opposizioni, ha un potere messianico, ha un progetto da difendere davanti a Dio e chi è contro, lo è davanti a Dio e il suo popolo.
Alle manifestazioni indette dal suo movimento a Tunisi erano presenti migliaia di persone. Molte di loro si definiscono militanti di Ennahda, il partito che dopo dieci anni di transizione democratica è visto come l’origine di tutti i mali del Paese, dalla crisi economica alla corruzione. Avete un coordinamento diretto?
Ennahda è in crisi a causa del sistema democratico. In dieci anni ha perso un milione di voti, è normale per un partito che sta al potere per così tanto che si indebolisca, succede in tutto il mondo. Ma Ennahda è anche un pubblico che fondamentalmente è contro la dittatura nel senso stretto del termine, probabilmente hanno una visione conservatrice e retrograda ma hanno un senso di rigetto della dittatura come quella di Ben Ali. Io non posso impedirgli di manifestare. Quando abbiamo fatto questo appello a protestare erano là ma è falso che ci sia stato un coordinamento con Ennahda. Quello che mi sciocca sono le migliaia di democratici che non sono scesi per strada, società civile inclusa che si definisce contro questo colpo di Stato.
Ha paura per la sua sicurezza personale?
Sono alla testa di una lista nera che è stata esposta in avenue Bourguiba a Tunisi con altre persone della sinistra. Prima di una manifestazione la polizia è venuta a cercarmi dopo che per due giorni non sono uscito di casa perché ero malato. Pensavo fossero le milizie di Saied, mi hanno poi detto che non erano venuti per arrestarmi ma per vedere come stavo. Hanno cercato di forzare la porta. Anche in questo momento sono sicuro che sappiano di questa intervista, mi hanno messo sotto sorveglianza. Ormai non rifletto neanche più, non possono fare paura a tutti. Ora fonderemo un forum democratico per trovare delle soluzioni per la Tunisia cercando di allargare il più possibile la base per un dialogo costruttivo.
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