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Il Cile vota sulla “Kastitución”. Ma la scelta è tra male e peggio

Il Cile vota sulla “Kastitución”. Ma la scelta è tra male e peggioMilitare di fronte a un seggio di Santiago – Ap

Cile Oggi il plebiscito sulla seconda proposta di nuova Carta costituzionale. Che è più a destra di quella di Pinochet. Rispetto alla prima, bocciata perché troppo di sinistra, spariscono natura, diritti e popoli nativi. Comunque vada, il processo costituente per ora finisce qui

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 17 dicembre 2023

Vada come vada, andrà male. Perché o, come è decisamente più probabile stando ai sondaggi, resterà in vigore la Costituzione di Pinochet, rivista ma ben poco migliorata sotto la presidenza Lagos, o verrà approvata una nuova Costituzione se possibile ancora più di destra. E dunque, come capita sempre più spesso, al plebiscito che si terrà oggi in Cile sulla seconda proposta di una nuova Carta costituzionale – dopo la clamorosa bocciatura della prima il 4 settembre del 2022 -, a sinistra la scelta sarà tra il male e il peggio.

«Una que nos una», cioè una Costituzione «che ci unisca», chiedevano a gran voce le destre lo scorso anno, durante la campagna elettorale per il primo cosiddetto plebiscito “di uscita”, schierandosi contro la proposta approvata dalla Convenzione costituzionale dominata dalle forze di sinistra, perché, dicevano, avrebbe spaccato il paese.

MA QUELLO CHE È VENUTO DOPO non ha affatto condotto alla tanto invocata unità, sia per la pressoché nulla partecipazione cittadina al processo costituente, sia per i contenuti della nuova proposta. Il testo su cui i cileni saranno chiamati a pronunciarsi oggi è stato infatti elaborato da una commissione di 24 «esperti» designati dal Congresso nel rispetto di 12 paletti concordati dai partiti – in linea con l’essenziale della Costituzione di Pinochet – e poi discusso e di gran lunga peggiorato dai 50 membri del Consiglio costituzionale (il nuovo organismo chiamato a sostituire la Convenzione) votati il 7 maggio scorso con le controverse regole elettorali del Senato, da sempre la più conservatrice delle due Camere.

Un’elezione dall’esito scioccante: a soli due anni dal voto per la formazione della Convenzione costituzionale, con la clamorosa sconfitta dei partiti tradizionali a vantaggio delle forze indipendenti protagoniste della rivolta popolare del 2019, i cileni avevano assegnato una schiacciante vittoria al Partido Republicano di estrema destra guidato da Antonio Kast, l’unico schierato fin dall’inizio in difesa della Costituzione di Pinochet.

Era dunque scontato che il testo approvato con 33 voti a favore (tutti quelli delle destre) e 17 contro, giustamente ribattezzato Kastitución, riflettesse fedelmente, alla faccia dell’«una que nos una», le posizioni dell’estrema destra, la quale – disponendo insieme alla destra tradizionale della maggioranza dei tre quinti – ha potuto fare il bello e il cattivo tempo.

Santiago del Cile, supporter della proposta di Carta costituzionale architettata dai 24
Santiago del Cile, supporter della proposta di Carta costituzionale architettata dai 24 “saggi” designati dal Congresso foto Ansa

ECCO ALLORA IL TRIONFO «di un neoliberismo patriarcale 3.0», come ha denunciato la Coordinadora Feminista 8M, evidenziando una netta involuzione in materia di equità di genere e di diritti riproduttivi. Ponendo l’accento sulla «difesa della vita del nascituro» e sul concetto di «obiezione di coscienza istituzionale», il nuovo testo apre infatti la strada alla possibile criminalizzazione dell’aborto anche nei casi, oggi ammessi, di rischio per la salute della madre, di stupro e malformazioni del feto.
Una visione, inoltre, totalmente subordinata a un modello di sviluppo estrattivista (forestale, minerario, agro-esportatore), estranea a qualunque riconoscimento dei diritti della natura – la protezione dell’ambiente non è semplicemente un obiettivo della nuova proposta costituzionale – e dei diritti dei popoli originari, al punto da evitare persino di menzionare i popoli mapuche, aymara o rapanui.

E PER QUANTO LA NUOVA PROPOSTA costituzionale introduca il riconoscimento dello «Stato sociale e democratico di diritto» come esigeva la sinistra, si tratta in realtà di un guscio vuoto: il testo, tagliato su misura per la classe imprenditoriale, limita il diritto allo sciopero, prevede l’espulsione «nel minor tempo possibile» dei migranti irregolari, disconosce i diritti sociali fondamentali come l’accesso all’educazione, insistendo sulla libertà di insegnamento e sul diritto sia dei genitori che delle scuole di stabilire i propri principi e valori.

E lo stesso fa con l’accesso alla salute, obbligando lo stato a garantire, in nome della libertà di scelta – un ovvio privilegio dell’èlite -, l’esistenza di una sanità privata, anziché puntare al rafforzamento di quella pubblica. Un punto, questo, che, come evidenzia l’avvocato costituzionalista Javier Couso, «non ha precedenti: in nessuna costituzione al mondo esiste un diritto a scegliere tra pubblico e privato». Non sorprende allora che il testo costituzionalizzi le Afp, cioè le società di amministazione dei fondi pensione, e le Isapre, gli istituti privati di assicurazione sanitaria, imponendo la mercificazione delle prestazioni sociali.

COMUNQUE VADA, però, una cosa è certa: qualunque sarà l’esito del plebiscito, il processo costituente finirà qui. Perlomeno sotto la sua presidenza, ha assicurato il presidente Boric, non vi sarà un terzo tempo. Ed è uno stop su cui concorda, secondo un recente sondaggio, il 58% della popolazione.

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