Dalla base di Lyman quando le condizioni lo permettono parte un fuoristrada che si addentra nella boscaglia per rifornire i soldati ucraini in trincea. Sono missioni pericolose, il cielo di Lyman, come quello di Lysychansk non è mai quieto, tuona tutto il giorno come se fosse funestato da una tempesta incessante.

Ma si tratta della natura che mostra la sua potenza bensì degli esseri umani che cercano di annientarsi. Mortai, grad, bombe a grappolo, colpi di cannone, bombardamenti aerei cadono senza sosta sul Donbass. Sabato i russi hanno fatto saltare il ponte ferroviario, in un primo momento si pensava fossero stati gli ucraini ma poi i militari della zona hanno confermato che il crollo del ponte, così preciso nel mezzo da dipingere una “v” sul fiume, era stato la conseguenza di un colpo nemico.

Ora si passa su un ponticello che in realtà è la parte superiore della parete di una diga. Anche qui mancano dei pezzi ai bordi a causa delle esplosioni e i pochi metri tra uno specchio d’acqua e l’altro mettono sempre un po’ d’apprensione. Dmitry, ingegnere del genio militare di stanza a Lyman, è convinto che il prossimo obiettivo dei russi sarà la diga, “vogliono inondare la città per impedirci di rispondere al fuoco ed occuparla”, spiega.

In questa zona le alture sono fondamentali, chi le controlla ha un vantaggio strategico enorme. Eppure, la regola dell’arte militare che vuole che l’aggressore abbia bisogno di tre volte gli uomini e i mezzi del difensore, qui trova la sua realizzazione pratica più evidente.

In Donbass i russi sono numericamente superiori, hanno più artiglieria, più mezzi e, forse, più esperienza, ma avanzano a fatica. Secondo molti analisti gli ucraini hanno intenzione di allargare il fronte più possibile in modo da separare il grosso delle truppe russe e impedirgli un’avanzata massiccia. Inoltre, come hanno dimostrato più volte, gli ucraini nelle azioni dio guerriglia riescono a tenere testa egregiamente agli aggressori, mentre in una battaglia campale sarebbero quasi sicuramente in grave difficoltà.

Forse per questo, o per una “strategia che ancora non siamo riusciti a comprendere” come dice Dmitry, le forze di Mosca applicano qui nell’est la stessa strategia che utilizzavano fino a un mese fa nel sud, ovvero tentano di occupare più territorio possibile avanzando di villaggio in villaggio. Il fatto è che in questi villaggi capita che siano lasciati solo pochi uomini a difesa della posizione conquistata e allora gli ucraini contrattaccano e li riprendono.

Questo gioco simile al ping-pong in realtà non ha nulla di divertente e le sue regole sono quelle della violenza bruta. Ogni rovesciamento di fronte porta con sé morti, sia civili sia militari, e ogni assalto lascia sul campo dei soldati, spesso ragazzi lontani chissà quanto dalla propria casa e dai propri affetti. Come lo spetznatz che giaceva senza vita a cinquanta metri dalle trincee ucraine di Lyman stamane.

“Erano un gruppo” spiega il caposquadra, un uomo di mezza età con una larga pancia che deborda dal giubbotto antiproiettili e un collo gonfio sotto l’elmetto impolverato, “non sapevano che fossimo qui e perciò avanzavano abbastanza tranquilli; li abbiamo fatti avvicinare abbastanza e poi abbiamo fatto fuoco”. I feriti non sono stati rincorsi perché il caposquadra spera che verranno a recuperarli in modo da colpire anche i rinforzi, “e poi non hanno più armi, le hanno lasciate tutte sul terreno”, spiega.

Qui nell’ultimo avamposto ucraino prima della “zona cuscinetto” in cui nessuno dei due eserciti ha il controllo del territorio, la vita o la morte dipendono da un movimento, dal fumo di una sigaretta, da qualche oggetto che riflette la luce. Prima di arrivare alla trincea c’è un bosco di pini giovani dal tronco stretto che impediscono la vista a più di qualche metro.

Per riuscire a portare i rifornimenti i soldati usano un grosso fuoristrada che però oggi ha dovuto deviare dal percorso ordinario in quanto la strada è sbarrata da alcuni tronchi caduti dopo gli ultimi bombardamenti e da alcuni ordigni piantati nel terreno.
Non è possibile immedesimarsi nei pensieri di un ragazzo che non dorme da più di 24 ore e che da poco ha sparato centinaia di colpi contro delle ombre che altrimenti avrebbero sparato a lui poco dopo.

Ma quello stesso ragazzo riesce a sorridere e a darti la mano come se fossi un suo caro amico o suo fratello. È un ragazzo biondo con gli occhi azzurri chiarissimi, piuttosto basso e magro ma non gracile. Vicino al caposquadra sembra venire da un altro pianeta. Anche perché gli occhi del caposquadra sono tondi e acquosi, occhi bovini che guardano te o il fronte con la stessa espressione, gli occhi del ragazzo sono fissi, contornati dal nero della terra e dell’insonnia.

Ogni volta che si gira per prendere un “trofeo”, ovvero le armi e l’equipaggiamento recuperato sul campo dai russi in fuga, quegli occhi si illuminano. Mi mostra un caricatore speciale con colpi rinforzati, una piastra da giubbotto antiproiettili “made in San Pietroburgo”, un pacchetto di tabacco e delle mostrine con la bandiera dell’Urss. Mentre allunga la mano per farmele vedere muove la mano vicino alla testa, come a dire “sono pazzi”.

Proprio in quel momento un soldato urla “giù” e tutti ci precipitiamo nella trincea. Un colpo e poi una raffica e poi di nuovo silenzio. “Nessun problema” urla il caposquadra sovrappeso e incita la truppa con un baritonale “gloria all’Ucraina” a cui i soldati rispondono con “agli eroi la gloria”. Ma non è soddisfatto e urla di nuovo, ancora più forte, questa volta i soldati rispondono adeguatamente e lui ride. In fondo alla trincea, a pochi metri, i militari sono silenziosi, non saprei dire da quanto non dormono, la vittoria di stamattina deve avergli dato qualche nuova energia ma non saprei dire se per loro in quel momento ci fosse una differenza tra il sonno e la veglia.

Mentre torniamo indietro, dopo aver scaricato le casse d’acqua per i militari, c’è un incendio in più punti del bosco, i russi hanno bombardato di nuovo. Alcuni soldati cercano di spegnere le fiamme come possono mentre un uomo, uno che chissà per quale motivo vive ancora qui, esce da una porta di una baracca in fiamme e ci guarda passare senza dire nulla.