Internazionale

Il cavallo di Troia degli aiuti umanitari preme alla frontiera

Il cavallo di Troia degli aiuti umanitari preme alla frontieraImmagini del ponte Simón Bolívar al confine tra Colombia e Venezuela – Afp

Venezuela Juan Guaidó insiste sull’emergenza. Maduro: «Se non ci fosse l’embargo medicine e alimenti potremmo procurarceli da soli». La scommessa sul dialogo della conferenza fissata per oggi in Uruguay sembra già persa in partenza

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 7 febbraio 2019

È un’attesa colma di preoccupazione quella che si respira in Venezuela. Attesa per la conferenza internazionale che si tiene oggi a Montevideo allo scopo di cercare una soluzione negoziata della crisi, ma anche attesa per come evolverà la situazione alla frontiera con la Colombia, dove il cavallo di Troia degli aiuti umanitari potrebbe far precipitare la crisi in direzione di un intervento armato.

UNA SITUAZIONE ad alto rischio – considerando la forte presenza del paramilitarismo colombiano nella regione – che non è sfuggita alla Croce rossa, la quale, in nome dei «principi fondamentali di imparzialità, neutralità e indipendenza», ha declinato l’invito a prendere parte alla cosiddetta azione umanitaria senza un previo accordo con il governo Maduro. Il quale ha gioco facile a chiedere a chi offre aiuti umanitari di rimuovere l’embargo per consentire al paese di acquistare da sé medicine e alimenti.

Ed è non a caso proprio sul tasto degli aiuti che continua a battere l’Assemblea nazionale controllata da Juan Guaidó, con tanto di approvazione di «una strategia di aiuto urgente in alimentazione e salute per l’emergenza umanitaria», rivolta «alle persone la cui vita è in pericolo».

Il tutto mentre le reti sociali sono invase da allarmi e fake news sull’ingresso di tali aiuti in Venezuela, allo scopo di seminare incertezza e spezzare la compattezza della forza armata bolivariana.

CHE L’ASSEMBLEA NAZIONALE stia già assaporando il momento in cui farà cadere Maduro – spedendolo, a seconda dei casi, nella «spiaggia carina lontano dal Venezuela» o a Guantánamo, secondo le parole di John Bolton – lo dimostra del resto anche l’approvazione, martedì scorso, del Progetto di legge sulla transizione in Venezuela, che fissa in 12 mesi la durata massima del governo provvisorio di Guaidó.

Secondo il progetto, «una volta cessata l’usurpazione» di Maduro, il leader dell’opposizione avrebbe 30 giorni per convocare elezioni «libere e democratiche».

Ma un modo per allungare i tempi è già stato previsto: «Nel caso di impossibilità tecnica» di realizzare le presidenziali entro il termine stabilito, il parlamento potrà comunque ratificare Guaidó come presidente ad interim con l’obiettivo di dar vita a un governo di unità nazionale che possa avviare «la seconda tappa della transizione democratica».

In tale quadro, la scommessa sul dialogo dei paesi partecipanti alla conferenza fissata per oggi in Uruguay sembra già persa in partenza.

Né la disponibilità a mediare manifestata da papa Francesco, a condizione «che ambedue le parti lo chiedano», né gli appelli al dialogo lanciati, tra gli altri, dall’Uruguay, dal Messico e dalla Russia, né l’appoggio espresso dal segretario generale delle Nazioni unite António Guterres alla riunione di oggi a Montevideo, così come a tutti «gli sforzi della comunità internazionale diretti a trovare una soluzione politica alla crisi» del paese, potranno indurre la marionetta Guaidó e il burattinaio Trump a desistere dal colpo di Stato.

E TANTOMENO potrà riuscirci il governo Maduro, che il dialogo lo invoca da giorni. Non a caso il presidente dell’Assemblea nazionale costituente, Diosdado Cabello, ha designato una commissione incaricata di realizzare una consultazione popolare sullo svolgimento anticipato delle elezioni legislative.

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