«Il caso Danieli»: il dossier sull’azienda italiana che fa affari con la giunta birmana
A Montecitorio il rapporto «Silenzi colpevoli». Laura Boldrini sta lavorando a una proposta di legge sulle «due diligence»
A Montecitorio il rapporto «Silenzi colpevoli». Laura Boldrini sta lavorando a una proposta di legge sulle «due diligence»
Si chiama “Silenzi colpevoli” il rapporto che Italia Birmania Insieme, un’associazione che lavora da anni sul dossier birmano, ha presentato ieri a Montecitorio in una conferenza stampa che ha riassunto “Il caso Danieli” e, come recita il sottotitolo del documento, l’ «opacità di una multinazionale e le carenze delle istituzioni italiane». Del caso Danieli, multinazionale che produce impianti siderurgici nota come “eccellenza italiana” con sede in Friuli, i lettori de il manifesto già conoscono in parte la storia. Ma se prima molte erano ipotesi, collegamenti, possibilità, il rapporto “Silenzi colpevoli” scritto col contributo di Pa-O Youth Organization (Pyo), Confederation of Trade Unions of Myanmar (Ctum) e la collaborazione di Fim Cisl e di Atlante delle Guerre, mette un punto fermo.
AGGIRAMENTO delle sanzioni, collaborazione con una giunta militare che si è macchiata di crimini contro l’umanità, collaborazione con il comparto militar industriale birmano sotto il diretto controllo dei generali. Sul frontespizio del rapporto campeggia la fotografia che, alcuni mesi fa, ha messo in evidenza una collaborazione così apprezzata che nello scatto figura lo stesso capo della giunta, Min Aung Hlaing, mentre distribuisce un regalo a lavoratori della Danieli. Sembra che la società si sia recentemente giustificata col governo italiano sostenendo che in Myanmar non lavora più. Un’ammissione pubblica che però non è mai stata fatta.
Cecilia Brighi, di Italia Birmania Insieme, illustra il rapporto situandolo in un contesto di guerra civile con un bilancio 1.574 raid aerei, 15mila villaggi distrutti e un numero di vittime civili imprecisato. Poi riepiloga la presenza di Danieli in Myanmar, presente nel Paese dal 1979. Ignorando le linee guida dell’Ocse rispetto alla responsabilità sociale d’impresa e i richiami dell’Ufficio Onu del lavoro, la società si registra di nuovo in Myanmar poco dopo il golpe militare del 2021. Per fare cosa? Fornire tecnologia e sostegno a due fabbriche del settore siderurgico che dipendono direttamente dal ministero della Difesa: le aree di Pimpet e Myingyan. È proprio all’inaugurazione di quest’ultima che si deve la foto col generalissimo e i tecnici Danieli che ilmanifesto pubblicò nel giugno scorso. Brighi chiede dunque spiegazioni e trasparenza, tema ripreso da Laura Boldrini del Comitato diritti umani della Camera.
BOLDRINI, che sta lavorando a una proposta di legge sulle “due diligence” (la valutazione dell’impatto che un’attività aziendale può avere sul sistema sociale e dei diritti nel Paese con cui stipula un contratto) sostiene le richieste di Italia-Birmania Insieme. Che riassume in tre punti: due diligence, trasparenza e interruzione dei rapporti con la giunta.
Riccardo Noury di Amnesty Intenational ricorda altri elementi del contesto: 25mila arresti, almeno 7mila vittime civili nella repressione di piazza, impiccagioni dopo 30 anni, raid in aumento su villaggi, cerimonie, profughi. Attività che portano a una responsabilità per crimini contro l’umanità, per cui i singoli militari della giunta sono indagati dalla Corte penale internazionale.
SULLA DUE DILIGENCE torna anche Roberto Benaglia, segretario generale Fim-Cisl, ricordando che non si tratta di demonizzare una società ma che è giusto che la Danieli sgomberi il campo dagli interrogativi che la circondano. Non sono gli unici che girano attorno all’attività industrial-commerciale italiana come ricorda Alessandro De Pascale dell’Atlante delle guerre e di cui questo giornale ha dato conto nel caso “Cheddite” (pallottole italiane ritrovate nei luoghi della repressione) e in quelli relativi al tessile o all’import di teak birmano. Ora tocca alla Danieli dare spiegazioni verificabili. Pubblicamente.
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