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Il capitalismo dello choc pandemico

Il capitalismo dello choc pandemico

L'inchiesta Dal capitalismo dei disastri al capitalismo dello choc pandemico. Le analisi sul mondo globale nel Dal capitalismo dei disastri al capitalismo dello choc pandemico. Le analisi sul mondo globale nel 18esimo rapporto sui diritti globali. Il 2020, con la pandemia di Covid-19, ha portato e sta residuando un drastico peggioramento nei diritti e nelle libertà, così come nella condizione sociale ed economica di milioni di cittadini in molte parti del mondo e ha mostrato con maggior evidenza la pericolosa vulnerabilità del sistema democratico e dello Stato di diritto rapporto sui diritti globali. Il 2020, con la pandemia di Covid-19, ha portato e sta residuando un drastico peggioramento nei diritti e nelle libertà, così come nella condizione sociale ed economica di milioni di cittadini in molte parti del mondo e ha mostrato con maggior evidenza la pericolosa vulnerabilità del sistema democratico e dello Stato di diritto

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 12 dicembre 2020

Dal capitalismo dei disastri al capitalismo dello choc pandemico. È questa la chiave di lettura offerta dal diciottesimo Rapporto sui diritti globali, coordinato da Sergio Segio e intitolato «Il virus contro i diritti» che ripercorre i dodici mesi che hanno sconvolto l’intero pianeta, gli equilibri economici, sociali e ambientali.

Ogni crisi è ambivalente, e quella del Covid lo è senz’altro. L’isolamento fisico è una dolorosa necessità per salvare vite umane, ed è in realtà un meccanismo politicamente delicato e gestito in maniera sconcertante e imperfetta dai governi. e, allo stesso tempo, è un laboratorio permanente e altamente redditizio di un futuro senza contatto fisico. basti qui pensare al boom dei fatturati e dei rendimenti in borsa delle piattaforme digitali. Al 19 giugno 2020, si legge nel rapporto, Amazon era valutata 1.317,3 miliardi di dollari, il 43,8% in più rispetto all’inizio dell’anno; Microsoft 1.473 miliardi (+22,4%); Apple 1.523,9 (+16,8%); Facebook 671 miliardi (+14,6%); Alphabet 991,1 miliardi (+7,4%); PayPal 192,4 miliardi (+51,5%); Netflix 196,9 (+38,9%); Zoom 66,8 miliardi (+255,1%). Una tendenza, peraltro, in rapidissima evoluzione: già ad agosto 2020 Apple ha superato una capitalizzazione di 2.000 miliardi di dollari, un primato a Wall Street. In attesa che i reiterati annunci sul rifinanziamento dei sistemi della sanità pubblica, massacrati da tagli da vent’anni, le vincitrici della crisi sono le piattaforme digitali. Così Naomi Klein ha definito un futuro prossimo che «sarà gestito dall’Intelligenza Artificiale, ma che in realtà sarà tenuto insieme da decine di milioni di lavoratori anonimi nascosti nei magazzini e nei data center, ammassati in uffici dove si moderano i contenuti o in fabbriche di elettronica, nelle miniere di litio, nei complessi industriali, nei mattatoi e nelle prigioni, esposti al- le malattie e all’ipersfruttamento. È un futuro nel quale ogni nostra mossa, ogni nostra parola, ogni nostra relazione sarà rintracciabile, tracciabile, con una miniera di dati immagazzinati grazie a una collaborazione senza precedenti tra governi e giganti della tecnologia». Nelle crisi si eccede con le distopie. queste ultime crescono incontrastate in un immaginario subalterno. Ma spesso sono realistiche.

L’impunità dei dominanti
È in questo quadro che va inteso il concetto chiave del rapporto sui diritti globali di quest’anno: l’impunità dei dominanti.Prendiamo la gestione della pandemia sulla quale anche la magistratura italiana ha aperto diverse inchieste. Le morti per Covid-19 nelle residenze degli anziani in Italia o in Francia; quelle provo- cate dai contagi sui luoghi di lavoro, o in transito per raggiungerli, causati dalla necessità di sopravvivere; le morti causate dalla radicalizzazione delle diseguaglianze e della lotta di classe sono alcuni dei casi che confermano l’esistenza dei “crimini di sistema”. Per il filosofo del diritto Luigi Ferrajoli il crimine di sistema è un illecito giuridico compiuto dai dominanti, dai governanti e da tutti coloro che esercitano un potere politico, sociale ed economico che crea le premesse, e gestisce le conseguenze, di eventi catastrofici, sistemici o pianificati a seguito di politiche precise.

Alla base di questi crimini c’è un vuoto di diritto, ben più che di diritto penale, dovuto a molteplici fattori, tutti legati all’odierna globalizzazione della sola economia e al carattere ancora locale della politica e del diritto: l’assenza di una sfera pubblica all’altezza dei poteri economici e finanziari in grado di limitarne e controllarne l’esercizio; il conseguente ribaltamento del rapporto tra economia e politica, in forza del quale non è più la politica che governa l’economia, ma è l’economia che governa la politica, ovviamente a vantaggio dei soggetti economicamente più forti; il nesso, infine, tra l’impotenza della politica e l’onnipotenza dei poteri economici globali. Questo scarto danneggia sempre più gravemente le persone e i loro diritti costituzionalmente stabiliti.

“L’attacco ai diritti e il desiderio di impunità non sono nati durante il periodo della pandemia – sostiene Antonio Panzeri, Presidente Association Against Impunity and for Transitional Justice – Vengono da lontano, ma è indubbio che l’uso politico, in tante parti del mondo, ha accentuato questo processo. Per questo è indispensabile mostrare una più forte attenzione. La violazione dei diritti umani non è solo una violazione di una legge morale, ma una vera e propria violazione della legalità, perché i diritti umani non sono solo un sentimento etico, ma sono diritti riconosciuti, sanciti, protetti e garantiti da trattati, normative, accordi internazionali che hanno il valore di legge”.

Crimini di sistema
Il mondo dentro il virus sta amplificando a dismisura questi crimini di sistema. È tale persino l’idea che il Covid «non è stato responsabilità di nessuno». quante volte in questi mesi abbiamo ascoltato questa frase da tutti i governanti e i dominanti, a cominciare dagli esponenti dell’attuale governo. Sembra proprio che questa pandemia sia semplicemente accaduta come un disastro naturale, un incidente catastrofico imprevedibile, uno “choc esogeno” che si è abbattuto su un sistema economico globale che funzionava alla perfezione. Tale convinzione è una verità di comodo che non rispecchia affatto la realtà complessa in cui questa pandemia si è generata e si è trasmessa.

Il virus non è un alieno giunto dallo spazio, non è accaduto per errore e la sua diffusione devastante non è il prodotto di uno “choc” imprevisto, ma la conseguenza strutturale della globalizzazione che ha avvolto il mondo con le sue catene del valore collegate dagli aerei, ad esempio. Non solo la nuova famiglia dei coronavirus è il prodotto della distruzione delle foreste, della trasformazione degli ecosistemi, dell’inurbamento delle campagne e della convivenza forzata tra umani, animali e pipistrelli. Esso è anche il risultato di una nuova relazione tra il sistema produttivo dell’agro-business e delle megalopoli. Rimuovere queste caratteristiche strutturali nella genesi e nella diffusione dei coronavirus che si sono consolidate nell’ultimo ventennio, insieme ad altre epidemie come la SARS, è una strategia fondante del “capitalismo dei disastri” ed è funzionale alla nuova fase di ristrutturazione e investimenti che non intervengono sulle cause della pandemia ma solo sui suoi effetti contingenti. Questo è il modo ideale per riprodurre fenomeni patogeni ancora più devastanti di quello attuale. Come si chiama questo? Crimine di sistema, appunto.

“Parliamo di un sistema criminale che produce morti su scala industriale – sostiene il coordinatore del rapporto diritti globali Sergio Segio – questo rapporto aiuta a comprendere la vastità di un sistema di crimini contro l’umanità, non solo quelli tradizionali. L’industria bellica è uno dei sistemi criminali che producono morti su larga scala. È vorace e aggressivo anche durante la pandemia. Nella prossima legge di bilancio in Italia sono stati stanziati sei miliardi di acquisti di armi. Nel “Recovery plan” italiano sono al momento previsti solo 9 miliardi per la sanità dopo tutto quello che abbiamo passato in questi mesi. Nel 2019 la vendita di armi è aumentata a 361 miliardi di dollari, oltre l’otto per cento. In Italia la Leonardo è cresciuta del 18 per cento con 11 miliardi di ricavi. Ci sono industrie che non producono solo lavoro e crescita, ma producono guerra e distruzione che colpiscono le popolazioni civili e spesso i bambini come nella guerra nello Yemen alle cui stragi ha collaborato anche l’Italia con una fabbrica di bombe in Sardegna: la RWM. Solo nel giugno 2019 il parlamento italiano ha sospeso questa produzione. Finirà questo dicembre senza dare al momento garanzie che non riprenda a produrre”.

“Sono crimini impuniti fare affari con il governo egiziano – continua Segio – La procura di Roma ha assodato una precisa responsabilità degli alti vertici dei servizi segreti egiziani e dunque del governo di Al Sisi insignito da Macron della legione d’onore. Non si ritira l’ambasciatore italiano in Egitto perché ci sono enormi affari da 10 miliardi di euro nei prossimi anni. Non sempre questo è un problema dei governi. Ci sono diverse amministrazioni comunali che hanno tolto gli striscioni che chiedevano giustizia per Regeni, come se fosse una battaglia di parte per un caso di torture e impunità. E poi c’è il caso di Patrick Zaki a cui è stata prorogata la detenzione. In Egitto ci sono 60 mila prigionieri politici, solo ad ottobre 2020 ci sono state 50 condanne a morte. In Turchia, un paese al quale l’Unione Europea ha appaltato il blocco dei migranti che fuggono dalla guerra in Siria. In questi anni è stata lasciata libera di armare l’Isis e di impadronirsi dei territori nel nord est siriano o allargare la sfera di influenza in Libia dove controlla la guardia costiera responsabile dei lager dei migranti e dei loro viaggi in mare. Il Consiglio europeo sta prendendo in considerazione serie sanzioni, ma si tratterà di rendere efficaci gli annunci politici. In questo momento nelle carceri turche sono prigionieri 260 giornalisti e 122 cittadini reporter, numerose testate sono state chiuse d’autorità. Sindaci e parlamentari in carica sono stati incarcerati. il 26 novembre c’è stato un altro processo contro il famigerato golpe di due anni fa, un pretesto usato da Erdogan per scatenare una guerra interna che ha prodotto 300 mila arrestati e 150 mila epurati, persone costrette a lasciare il loro lavoro. Tutto ciò avviene grazie a complicità e un uso di una parola passepartout: “terrorismo”, usata per reprimere i diritti umani”.

I diritti sociali a partire dalla salute

“Il virus ha trovato una società globale dove le premesse per avere esiti drammatici della pandemia c’erano tutti – aggiunge Susanna Ronconi, ricercatrice e autrice di un capitolo del rapporto – Il diritto alla salute è uno di quelli più violati in questo mondo. In questa cornice la salute delle donne è sempre più in pericolo, basti pensare alla moltiplicazione dei divieti all’aborto inPolonia o in molti stati Usa. E poi ci sono i crimini contro le donne a causa delle violenze maschili come si è visto durante il lockdown. La salute dipende dal reddito, lavoro, qualità vita urbana o della condizione abitativa. Tutte questioni che influiscono sulla salute ma che sono poco verificabili dal punto di vista della loro esigibilità. Questo avviene perché sono diritti sociali. Spesso si cerca di contrapporre diritti umani a quelli sociali. Ma gli uni senza gli altri non vanno. Il diritto alla salute mette inscena questa complessità. Lo vediamo nella competizione nazionalista sul vaccino contro il Covid. I paesi poveri lo avranno forse nel 2024. Questa è una tragedia universale. il vaccino non è un bene comune. Nelle ultime riunioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità tutti i paesi ricchi si sono opposti alla liberalizzazione dei brevetti. Sono state adottate risoluzioni deboli. La lotta contro i brevetti è stata vinta con l’accordo di doha sull’aids. È su questo che è possibile lavorare come movimento”.

Il rapporto sui diritti globali è ricchissimo di dati e di storie sull’impatto del virus sui sistemi sanitari e sulle società dei paesi più colpiti. Negli Stati Uniti, ad esempio, è stato studiato in tempo reale rispetto alla composizione di classe e di razza di una società profondamente impoverita e violenta contro tutti i subalterni. I dati sono sconvolgenti. Il tasso di ospedalizzazione per Covid è stato circa cinque volte superiore rispetto a quello dei bianchi non ispanici, i neri non ispanici hanno avuto un tasso di ospedalizzazione circa cinque volte superiore a quello dei bianchi non ispanici, gli ispanici o i latini hanno un tasso di ospedalizzazione circa quattro volte superiore a quello dei bianchi non ispanici. Perseguitata dalle violenze omicide della polizia per la parte di popolazione di origine afroamericana il bilancio dei primi mesi della pandemia è stato devastante.

Nel Michigan oltre il 40% dei decessi da Covid-19 sono stati afroamericani sebbene questi costituiscano solo il 14% della popolazione. Nell’Illinois il 43% delle persone morte a causa della malattia e il 28% di quelle che sono risultate positive erano afroamericane, un gruppo che costituisce solo il 15% della popolazione di questo Stato. In Louisiana, circa il 70% delle persone morte erano di colore, anche se solo un terzo della popolazione di quello Stato lo è. Anche il Nord Carolina e il Sud Carolina hanno riportato un rapporto tra residenti neri e residenti bianchi positivi al virus che superava di gran lunga la percentuale sulla popolazione generale. I neri erano sovrarappresentati tra i contagiati nell’area di Las Vegas e tra le persone positive al virus nel Connecticut. Solo nel Minnesota le persone di colore sono state infettate dal coronavirus a tassi approssimativamente proporzionali alla loro percentuale di popolazione. L’obbligo del lavoro in condizioni rischiose ha spinto inoltre a contagiarsi ancora di più. Per molte di queste persone non era infatti possibile restare a casa senza alcun tipo di assistenza. Il lavoro è apparso sia la salvezza che la condanna. In molti casi hanno dovuto continuare a fare i commessi nei supermercati, nelle fabbriche, nelle strade come i rider o gli operatori di autobus e treni. Molti si sono affidati ai mezzi di trasporto pubblico per recarsi al lavoro e si sono trovati in una situazione di esposizione forzata al vi- rus. In un momento in cui le autorità invitavano a restare a stare a casa, l’unico modo concreto per evitare il virus, i neri americani erano tra coloro che hanno svolto le attività ritenute “essenziali” e non potevano contare sul lusso di lavorare da casa.

La forma della crisi nel capitalismo pandemico

Questa violenza economica e sociale perpetuata sui subalterni durante le quarantene variabili in base alla curva epidemiologica e ai contraddittori interessi dei politici alla ricerca disperata di un consenso fa parte di un’analisi sulla crisi economica e le sue prospettive nel capitalismo dello choc pandemico. La presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde ha confermato la stretta interdipendenza tra le politiche monetarie, finanziarie, fiscali e industriali e la situazione pandemica. Dai vaccini anti-Covid, trovati a tempo di record, dipende apparentemente la durata di una crisi che ha colpito in maniera asimmetrica sia la domanda che l’offerta del mercato, “congelando” l’economia globale e bloccando le catene lunghe del valore. In termini di prodotto interno lordo, e di quotazione dei mercati finanziari, questa spiegazione andrà verificata. Da queste analisi, che condizionano gli orientamenti di tutti i governi dei paesi colpiti dalla pandemia, manca quasi del tutto l’impatto di questo infarto economico – il secondo in soli 12 anni dalla crisi finanziaria del 2008 – sulle diseguaglianze sociali. A questo proposito è molto interessante la discussione sulla forma della crisi rappresentata attraverso le lettere. Sarà a V, a W, a L oppure a K? Per “V” si intende: crollo catastrofico dell’economia e ripresa velocissima; per “W” si intende un orientamento dell’economia chiaramente recessivo fatto di cadute e riprese ad alto tasso di incertezza e turbolenze; per “L” si intende crollo rovinoso e stagnazione prolungata; “K” è la lettera che sintetizza gli effetti indicati dalle altre e aggiunge un elemento in più: crollo, ripresa solo per pochi (i ricchi saranno sempre più ricchi; in poveri saranno sempre più poveri).E’ in questo scenario che si affermeranno gli effetti più duraturi della crisi nel capitalismo pandemico.

Per ora gli effetti sociali e sul lavoro di questa crisi economica innescata dalle politiche di contenimento del virus sono state parzialmente attutite da misure eccezionali. Basta pensare a quello che è stato fatto in Italia, un paese dove sono stati adottati interventi originali anche rispetto ad altri: il blocco dei licenziamenti e il prolungamento eccezionale delle casse integrazioni fino al 21 marzo 2021 per quanto riguarda il lavoro dipendente; un primo abbozzo occasionale, temporaneo e relativamente discrezionale di “bonus” per il lavoro autonomo terminati dopo appena tre mesi; una selva di aiuti categoriali per chi ha dovuto chiudere (e poi riaprire, e infine richiudere, così via) esercizi commerciali e attività micro-imprenditoriali; interventi insufficienti per il contrasto delle nuove povertà che stanno esplodendo. Questa realtà è variabile di paese in paese, i problemi legati all’accesso agli aiuti e alla loro insufficienza sono noti in paesi come gli Stati Uniti; l’aumento della disoccupazione e della precarietà di massa una realtà prospettica ormai assodata. In questa situazione emerge chiaramente l’assenza di una visione universalistica di un nuovo patto sociale contro la crisi e per la riforma strutturale dello Stato sociale. A questo proposito gli appelli giunti dall’Italia di estendere senza condizioni il cosiddetto “reddito di cittadinanza” verso un “reddito di base incondizionato” – o comunque verso un “reddito minimo garantito” – sono rimasti inascoltati.

La didattica a distanza e il futuro dell’istruzione pubblica

In questo quadro va fatto anche un discorso sulla condizione degli studenti, e dei docenti, messi in quarantena davanti ai computer con una modalità che abbiamo imparato a chiamare “didattica a distanza”. I danni psicologici, relazionali e sociali di questa decisione presa per contenere la diffusione del virus legata alla mobilità delle persone con i trasporti pubblici sono evidenti ma ancora da quantificare. Decisioni di questo tipo sono state prese negli Stati Uniti, anche se non in maniera univoca dai governatori e dai sindaci. Anche in città come New York che ha il sistema scolastico più ampio del paese la volontà del governatore Cuomo e del sindaco Di Blasio, protagonisti anche di conflitti su questo problema, è stato quello di tenere aperte le scuole in una situazione davvero molto difficile. Così è stato anche nella maggioranza dei paesi europei, tranne l’Italia. L’incresciosa gestione della politica scolastica nella pandemia ha portato il governo Conte ha chiudere ripetutamente, e per mesi, gran parte delle scuole, a cominciare da quelle superiori ancora oggi in didattica a distanza al 100%. L’incapacità di garantire il diritto allo studio, contrapponendolo al diritto alla salute degli studenti, dei docenti e delle famiglie, è stata più unica che rara rispetto alla situazione dei paesi europei vicini. Tutto questo sta avvenendo nonostante la forte mobilitazione del movimento “Priorità alla scuola” su un’agenda molto ampia che ha inserito l’istruzione in un articolato progetto con il ripensamento radicale della medicina territoriale, delle categorie neoliberali che hanno mutato l’istruzione negli ultimi vent’anni e del Welfare universalistico a sostegno delle famiglie precarie. Insieme alle reti mutualistiche che si sono organizzate in tutto il mondo, e anche in Italia, questo movimento è uno degli eventi politici più interessanti emersi nei primi mesi della crisi.

«Il virus – ha scritto il segretario della Cgil, Maurizio Landini nell’introduzione al rapporto – ha svelato crudelmente che uno sviluppo basato sulla finanza e sulla crescente diseguaglianza non è sostenibile né per l’uomo né per la natura, insieme alla fragilità del nostro sistema sociale e in particolare quello dell’assistenza delle persone».

ll Rapporto sui diritti globali è curato dall’associazione Società INformazione, in associazione con la Cgil ed è edito in Italia da Ediesse-Futura, In inglese con l’editore Milieu. Il progetto quest’anno è divenuto internazionale ed è in collaborazione dell’Association Against Impunity and for Transitional Justice, indagando lo «Stato d’impunità nel mondo». Ieri è stato presentato online al Parlamento Europeo.

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