Il romanzo americano – o, per meglio dire, degli Stati Uniti – gode di una fama e di un successo editoriale giustificato sia dalla qualità sia dal grande ventaglio di varianti che ne nutrono la quantità circolante per il mercato mondiale: nella versione più nobile, quella della literary fiction, e nelle numerose espressioni della genre fiction, doppia definizione che ha sostituito da tempo la vecchia diarchia del mainstream novel e della popular fiction, tradizionalmente trascurata da critici e recensori, a fronte dell’enorme successo di vendite: basterebbe pensare alla fama meritatamente raggiunta dal prolifico Stephen King.

Oggi, anche autori una volta considerati troppo legati alle convenzioni di genere, come H.P. Lovecraft, Shirley Jackson, P.K. Dick, trovano spazio nella collana canonica dell’American Library, avvalorando l’evidenza per cui il romanzo statunitense è meno monoliticamente canonizzato di quanto non lo si concepisse fino a non molti anni fa, includendo autori afroamericani, e esponenti delle numerose minoranze etniche, nonostante il ‘nocciolo duro’ resti ovviamente bianco e maschile. Molte voci di eterogenea provenienza si sono da tempo imposte, talvolta potenziate da serie televisive di grande impegno, fra tutte quella dell’afro-americano Colson Whitehead, che esplora il razzismo del Sud mescolando ricostruzione storica e dimensione distopica, e quella irrobustite da istanze ecologiste e avveniristiche di Hanya Yanagihara, di padre d’origine giapponese e madre coreana, a dimostrazione di come i confini del romanzo si dilatino e si arricchiscono, per di più attingendo da tempo anche alle prospettive dell’autofiction. In alcune sue ramificazioni il romanzo americano continua a manifestare una vocazione anti-mimetica, gotica e visionaria, che si carica di tensioni simboliche e trae alimento dalla tradizione del romance ottocentesco.

Fra acume e oratoria

Lo spiega bene Agostino Lombardo nel suo Il grande romanzo americano (a cura di Sara Antonelli e Luca Briasco, minimum fax, pp. 445, euro 18,00) spiegando come gli Stati Uniti delle origini, svincolati dal Regno Unito, poi lacerati e quasi spaccati in due dai conflitti legati all’abolizione della schiavitù, infine avviati verso il ‘destino manifesto’ di grande potenza industriale e militare, almeno fino alla fine del secolo esprimono una narrativa satura di atmosfere allucinate e di eventi sconvolgenti, i cui maggiori protagonisti sono i personaggi notturni di Edgar Allan Poe e poi di Ambrose Bierce, Hester Prynne, l’adultera della Lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne, il Capitano Ahab, che parla come un profeta biblico e come Re Lear, mentre caccia la balena bianca.

I saggi compresi nel Grande romanzo americano, che abbracciano un percorso di centocinquant’anni, da Poe a Saul Bellow, apparsi in buona parte nel volume La ricerca del vero (pubblicato nel 1961 dalle Edizioni di Storia e Letteratura), rimangono, nella loro attualità non tramontata, esemplari contributi critici di uno studioso noto per la molteplicità dei suoi interessi di ricerca, che andavano da Shakespeare (da lui interpretato e tradotto quasi integralmente) alla cultura settecentesca, dal Modernismo al romanzo contemporaneo in lingua inglese.

Lombardo, di cui era nota la qualità oratoria e la lucidità delle lezioni accademiche, ha ancora oggi il merito di aver colto in tutte le sue implicazioni la ricchezza del romance come forma narrativa non vincolata da norme rigide, e capace di dialogare sia con la tradizione del romanzo europeo sia con il linguaggio del teatro, in nome di una libertà espressiva che acquista risonanze etico-politiche.

Il grande romanzo americano è dunque – in questa sua lettura – al servizio di una visione democratica dell’arte, a cui aderiscono, nel Novecento, anche Hemingway, Faulkner, Steinbeck. Nel secondo dopoguerra, Salinger e Saul Bellow, di cui viene valorizzata nel libro l’identità ebreo-americana, ribadiranno, sia pure in modi diversi, la fiducia nel romanzo come strumento capace di indagare la condizione umana e le contraddizioni laceranti del ‘sogno americano’. Il denominatore comune dei grandi narratori d’oltre Atlantico resta per Lombardo una forte tensione etica e una vocazione democratica, orientate alla «ricerca del vero». Fra i limiti di questa rassegna, accanto all’assenza di Theodore Dreiser e di Francis Scott Fitzgerald, la scarsa attenzione per le voci femminili, rappresentate solo da Edith Wharton: chi volesse attingere a un resoconto puntuale delle romanziere americane ha oggi a disposizione, fra molte altre pubblicazioni, la rassegna in chiave femminista di Elaine Showalter A Jury of Her Peers: American Women Writers from Anne Bradstreet to Annie Proulx (2009).

Da Melville a Shakespeare

A dimostrazione del fatto che il romanzo americano è per Lombardo bianco e maschile, manca qualsiasi riferimento a scrittrici, anche già affermate al tempo in cui scriveva, come Cynthia Ozick, il cui primo romanzo risale al 1966, e la iperprolifica Joyce Carol Oates, fino a Toni Morrison, il cui capolavoro, Amatissima, uscì nel 1987. Manca anche, nalla raccolta, un saggio su Ralph Ellison, l’autore dell’Uomo invisibile (1952), che suscitava in Lombardo riserve relative alla eccessiva ‘politicizzazione’ del testo, e che oggi probabilmente metterebbe da parte.

Per quanto queste siano pagine dedicate, evidentemente alle proprie, e in quanto tali parziali passioni, dalle quali è assente persino uno scrittore come Philip Roth, l’impianto generale dell’opera resta valido, e si confermano geniali e cariche di intuizioni testuali le pagine culminanti nel lungo saggio dedicato al «mondo melvilliano», la cui vastità e energia narrativa Lombardo mette a confronto con l’ispirazione del prediletto Shakespeare.