Un po’ se l’aspettava questa scissione grillina. Enrico Letta aveva pure provato a suggerire ai due litiganti Conte e Di Maio che l’«unità è un valore». Ricordando non solo le due ultimi scissioni del Pd, quelle di Bersani e di Renzi, ma andando ancora più indietro nel tempo nella storia della sinistra: più flop che successi.

La missione non ha funzionato, anche se il leader Pd ci ha provato fino in fondo a tenersi equidistante, a non tifare per nessuno dei due. A ricordare a entrambi che domenica 13 capoluoghi vanno ai ballottaggi, e che Pd e M5S dovrebbero essere impegnati a tirare la volata ai candidati sindaci, da Verona a Catanzaro. Niente da fare.

E ora nel campo largo progressista che dovrebbe sfidare le destre alle elezioni si presenta un gigantesco punto interrogativo. Che succederà? La cosa più probabile, pensano i dem, è che l’alleanza con Conte resti intatta, anche se M5S esce molto indebolito da questa settimana di passione, dopo il ko al primo turno delle comunali. Così indebolito da rischiare di essere un mezzo alleato, forse meno.

Su Di Maio nessuno fa previsioni, non è affatto scontato che voglia tenere la sua nuova creatura «Insieme per il futuro» dentro il centrosinistra. Anzi, i più pensano che voglia andare altrove, al centro, o addirittura nel centrodestra. Ma i dubbi più forti sono i consensi che racimolerà. «Se ha fatto tutto sto casino evidentemente pensa di avere dei voti», ragiona un senatore Pd. «Io ho dei grossi dubbi…».

A Letta sta a cuore spazzare via l’immagine per cui la destra dem (gli ex renziani) voglia un dialogo privilegiato con Di Maio e la sinistra, da Orlando a Boccia e Provenzano, con Conte. «Nel Pd si è più vicini al Pd. E il Pd reagisce assumendosi la responsabilità di essere ancora più forte e produttivo, è sulle nostre spalle la responsabilità di costruire la proposta per gli anni prossimi», spiega Letta a Porta a Porta.

«Sono molto chiaro e, abbastanza sereno: noi abbiamo la grande responsabilità di mettere in campo un’idea di Italia per i prossimi cinque anni. Dobbiamo poi condividerla con gli alleati. Rifiuto l’idea che si debba partire dalle alleanze, per questo ho parlato di campo». «Credo che gli italiani più che su con chi ci alleiamo, sono interessati a quello che proponiamo», il ragionamento di Letta. Che non nasconde una forte preoccupazione: «Spero soltanto che tutto questo non vada a vantaggio del centrodestra, che è già avvantaggiato domenica ai ballottaggi e alle prossime elezioni. Spero che ognuno giochi la partita essendo il più efficace possibile».

Speranza vana, nelle ore in cui Giggino accusa il suo ex capo di intelligenza coi russi e volano gli stracci. L’unica fortuna del leader dem è che ai ballottaggi di domenica i grillini non contano quasi nulla: tutti e 13 i candidati sono del Pd o comunque del centrosinistra. E le percentuali raccolte al primo turno dai 5S non sono in grado di incidere nelle sfide. Altra consolazione: il governo uscito indenne dalle aule parlamentari. «Draghi ne è uscito rafforzato». E non era scontato.

Il problema, tutto interno ai dem, è che la destra ha rialzato la voce contro l’alleanza con Conte, considerato poco più che un vuoto a perdere. E se mai dovesse uscire dalla maggioranza, apriti cielo: verrebbe dipinto come un bolscevico. «È evidente che ora si deve parlare anche con Di Maio, non ci sono più special relationship», avverte il coordinatore di Base riformista Alessandro Alfieri.

L’ex capogruppo Andrea Marcucci ci va giù ancora più duro: «Gli accordi si fanno solo sulla base di un programma europeista, atlantista, riformista. I nostri interlocutori devono essere: Calenda, Renzi, Di Maio, la sinistra. Nessun veto su Conte, ma mi pare che non sappia bene cosa intende fare».

Colpisce il silenzio dei principali sponsor del fronte giallorosso, da Goffredo Bettini a Franceschini e Provenzano. Boccia avverte: «Non ha alcun senso parlare di quali alleati si preferiscono come se fosse un rodeo. Anche in queste ore il Pd è al lavoro per l’unità della coalizione progressista». Secondo Nicola Zingaretti questa vicenda è «l’ennesima conferma che è finito il tempo della cultura maggioritaria, si rafforzano le identità. Per questo da mesi chiediamo una legge proporzionale per evitare il caos di questa legislatura».