Regeni: l’Egitto contesta l’autopsia italiana. Ma invita gli inquirenti al Cairo
Caso Regeni Per la procura di Giza, Giulio non sarebbe morto per una frattura al collo, come sostengono i medici italiani. La notizia diffusa dall'Agenzia Nova mentre il procuratore generale egiziano invita i magistrati romani al Cairo. E il parlamento Ue vota una risoluzione di condanna
Caso Regeni Per la procura di Giza, Giulio non sarebbe morto per una frattura al collo, come sostengono i medici italiani. La notizia diffusa dall'Agenzia Nova mentre il procuratore generale egiziano invita i magistrati romani al Cairo. E il parlamento Ue vota una risoluzione di condanna
Per i medici legali egiziani Giulio Regeni non sarebbe spirato per una frattura del collo. Piuttosto sarebbe stato colpito con un «violento colpo alla testa», dalle 10 alle 18 ore prima della morte. A riportarlo è l’«Agenzia Nova» che pubblica un’intervista esclusiva al capo della procura di Giza, Ahmed Nagy. Una dichiarazione che conferma la dissonanza con la seconda analisi autoptica eseguita a Roma dal team di esperti coordinati dal professor Vittorio Fineschi.
E non è un caso che il titolare delle indagini egiziane sull’omicidio (forse non lo chiamerebbero così i pm cairoti) del giovane dottorando friulano riveli un particolare così importante proprio mentre gli inquirenti italiani vengono invitati formalmente al Cairo dal procuratore generale d’Egitto, Nabil Ahmed Sadek, per dimostrare la massima disponibilità nel campo investigativo. Come d’altronde sollecitato dalla risoluzione d’urgenza votata ieri quasi all’unanimità dal Parlamento europeo.
«Non c’è alcuna frattura del collo nel referto autoptico egiziano», riferisce all’agenzia di stampa internazionale il cancelliere Ahmed Nagy, che precisa anche di non essere stato neppure informato dell’invito al Cairo formalizzato ieri al capo della procura di Roma, Giuseppe Pignatone, tramite l’ambasciatore egiziano Amr Helmy, per ragguagliare gli inquirenti italiani sugli «ultimi sviluppi investigativi» e «individuare ulteriori modalità di collaborazione tra le due autorità giudiziarie nell’interesse dei rispettivi Paesi». Pignatone ha annunciato che l’incontro con il procuratore generale d’Egitto «sarà organizzato a breve», ma non è chiaro se la procura di Giza sarà parte attiva del confronto, almeno stando a quando riportato dall’«Agenzia Nova».
E non è chiaro nemmeno su quali basi oggettive i medici forensi egiziani possano escludere la frattura della vertebra cervicale, visto che «il collo non è stato sezionato durante la prima autopsia», come riferisce al manifesto una fonte altamente qualificata vicina alla procura di Roma. Difficile anche capire come abbiano potuto definire esattamente quante ore prima della morte Regeni avrebbe ricevuto «un violento colpo alla testa». «Hanno riscontrato una frattura del cranio? Analizzato un ematoma interno al cervello?», sono le domande che ancora non trovano risposta, a Roma. Anche perché il cadavere di Giulio è giunto in Italia privato del cervello. Interrogativi non di poco conto per confutare o supportare le ipotesi, accreditate al Cairo, di una morte compatibile con l’incidente o con l’aggressione “spontanea”.
È chiaro invece che, con l’invito “distensivo”, le autorità egiziane hanno voluto attenuare l’eco della risoluzione d’urgenza “bipartisan” approvata ieri con 588 sì, 10 no e 59 astenuti dal Parlamento europeo in seduta plenaria mentre i deputati del M5S innalzavano cartelli con su scritto «Verità per Giulio Regeni». Un testo presentato da tutti i gruppi (tranne l’Efn di Le Pen e Salvini) che «condanna con forza la tortura e l’assassinio in circostanze sospette del cittadino europeo» e esorta il Cairo a fornire alle autorità italiane tutti i documenti per «consentire lo svolgimento di indagini congiunte rapide».
Non solo: l’organo legislativo europeo sottolinea che il caso Regeni «non è un incidente isolato» nel paese mediorientale. E esprime «grande preoccupazione» per il «contesto di torture, morti in carcere e sparizioni forzate avvenute in tutto l’Egitto negli ultimi anni», come pure per «l’imminente minaccia di chiusura forzata del Centro El Nadim per la riabilitazione delle vittime di violenza e tortura», e per «le continue vessazioni subite dalla Commissione egiziana per i diritti e le libertà a causa del ruolo che avrebbe svolto nella campagna “Stop alle Sparizioni Forzate”».
Al «Paese vicino», «partner importante» nel «garantire la stabilità della regione», il Parlamento europeo offre la «condanna» degli «attacchi terroristici perpetrati contro civili e militari egiziani» ma poi ricorda l’obbligo «alla protezione e alla promozione dei diritti umani», invita a «rivedere con urgenza» una serie di leggi «repressive», e «chiede ancora una volta la liberazione immediata e incondizionata di tutte le persone detenute e condannate unicamente per aver esercitato il proprio diritto alla libertà di espressione e di riunione pacifica».
Ma anche l’Unione europea deve fare di più: i deputati di Bruxelles invitano Mrs Pesc, Federica Mogherini, a «intrattenere scambi regolari con i difensori dei diritti umani», «a sostenere i soggetti a rischio o detenuti» in Egitto e «ad assicurare un monitoraggio complessivo dei processi a loro carico». Al servizio diplomatico dell’Ue è rivolto invece l’invito a «riferire sullo stato attuale della cooperazione militare e di sicurezza degli Stati membri con l’Egitto» e «a definire, in stretta consultazione con il Parlamento europeo, una tabella di marcia sulle misure concrete che le autorità egiziane dovranno adottare per migliorare la situazione dei diritti umani nel Paese». Infine, ai Paesi Ue viene richiesto di sospendere «l’esportazione di apparecchiature di sorveglianza» utilizzate per violare i diritti umani.
Non una parola sulla vendita delle armi italiane al regime di Al Sisi.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento