Dopo tre anni, lo scandalo dei trasporti di rifiuti dalla Campania verso la Tunisia ha un risvolto giudiziario anche in Italia. Nel dicembre del 2020, la procura di Sousse aveva arrestato dodici persone, tra le quali l’allora ministro dell’Ambiente tunisino Mustapha Laroui, che è poi stato condannato in primo grado. Ieri la Direzione distrettuale antimafia di Potenza ha indagato sedici persone con le accuse di traffico illecito di rifiuti, fittizia intermediazione di beni, gestione illecita di rifiuti, realizzazione di discarica abusiva e frode nelle pubbliche forniture. Tra questi ci sono i titolari della Sviluppo risorse ambientali (Sra), una società con sede a Polla, nel basso salernitano, e della tunisina Soreplast, alcuni intermediari e due funzionari della Regione Campania. Uno di questi, agli arresti domiciliari, è accusato di aver omesso i controlli sul produttore dei rifiuti, cioè la Sra, sulle spedizioni transfrontaliere e sulle autorità tunisine competenti al rilascio del nullaosta alla spedizione. Alle società coinvolte sono stati sequestrati beni per due milioni di euro.

La Sra gestiva la raccolta differenziata di sedici comuni del Cilento. I rifiuti venivano portati in un impianto di trattamento a Polla. Ciò che non veniva riciclato avrebbe dovuto essere smaltito o trattato di nuovo. Invece veniva imballato e spedito in Tunisia, dove la Soreplast avrebbe dovuto trasformarlo in prodotti finiti da rimandare in Italia. Secondo gli inquirenti, la Sra in questo modo riduceva i costi di smaltimento da 180 a 90 euro a tonnellata, mentre la Soreplast avrebbe bruciato o interrato le scorie invece di riciclarle. Il procuratore della Repubblica di Potenza Francesco Curcio ha parlato di «cannibalismo nei confronti dei Paesi terzi». «Per risparmiare sui costi non si può pensare di trasformare Paesi vicini in luoghi di smaltimento di ciò che nel nostro Paese non si può più recuperare», ha detto in conferenza stampa, specificando che la Regione Campania ha collaborato alle indagini.

La vicenda è cominciata il 22 maggio del 2020, quando dal porto di Salerno è partito un primo carico di 70 container diretto a Sousse. I rifiuti sono stati imbarcati su una nave turca, la Martine A della Arkas Container Transport, e sono arrivati in Tunisia dopo pochi giorni. Da Sousse sono stati trasferiti in un capannone a Moureddine, a una decina di chilometri di distanza. Tra giugno e luglio sono arrivati altri tre carichi con 212 container. La dogana si è insospettita e li ha controllati e sequestrati perché, a loro dire, il carico non corrispondeva a quanto dichiarato. La procura di Sousse ha aperto un’inchiesta che ha portato all’arresto del ministro dell’Ambiente Laroui, del suo capo di gabinetto, di dirigenti dell’autorità doganale, dell’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente e dell’Agenzia nazionale per la gestione dei rifiuti. L’amministratore unico della Soreplast, Mohamed Moncef Noureddine, si è reso irreperibile.

Il caso ha provocato molte proteste in Tunisia, poiché la convenzione di Bamako del 1991 vieta l’importazione in Africa di scarti pericolosi, mentre quella di Basilea del 1989 per la regolamentazione dei movimenti transfrontalieri di rifiuti e il regolamento europeo 1013 del 2006 ne autorizzano l’esportazione verso un paese terzo solo se è in grado di riceverli e ha una fabbrica che possa procedere al loro riciclaggio.
Il 7 gennaio del 2023 l’ex ministro e altri tre imputati sono stati condannati a tre anni di carcere dal tribunale di Tunisi per corruzione. Nel frattempo, la Regione Campania ha bloccato le spedizioni e il deposito di Moureddine è andato a fuoco misteriosamente, bruciando tutti i 70 container della prima spedizione. Gli altri 212 sono rimasti nel porto di Sousse per un anno e mezzo. Alla fine la Regione Campania ha dovuto riprenderseli e li ha trasferiti nella base militare di Persano, in provincia di Salerno. Ora dovrà smaltirli, sempre a sue spese.