Cultura

Il business genealogico

Il business genealogico

Per terra e per mare Trasformare l’isolamento in risorsa genetica è ciò che è accaduto in Islanda. Ma anche gli abitanti di Ogliastra e gli ammutinati del Bounty hanno qualcosa da dire: presentano un patrimonio biologico che fa gola a esperti di indagini scientifiche e di mercato

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 9 agosto 2016

Scappare su un’isola e non lasciare tracce: chi non ci ha mai pensato? Oggi è sempre più difficile: bisogna superare mari, muri, frontiere e relative guardie. Mettiamo di riuscirci: saremmo finalmente al riparo? Niente affatto: c’è il rischio di finire nelle grinfie di un genetista e ritrovarsi analizzati, schedati e classificati in una banca dati del Dna.

Le isole, infatti, rappresentano una vera miniera d’oro per chi cerca correlazioni tra geni e malattie su larga scala. Più le isole sono isolate e irraggiungibili e più il loro patrimonio genetico è prezioso. L’Islanda, per esempio, è assai apprezzata dai genetisti tanto che una società privata, la deCODE genetics, nel 1996 ha iniziato la più grande schedatura genetica di massa del mondo con il benestare del governo. Da allora, la deCODE ha raccolto informazioni sulle condizioni di salute di 160mila abitanti dell’isola, più della metà della popolazione, che hanno fornito volontariamente campioni di sangue o di saliva da cui prelevare il Dna.

09clt1226746845
Geografia, genealogia e welfare spiegano il motivo di tanto interesse. Innanzitutto, oltre mille chilometri di navigazione separano l’Islanda dalla Scozia e fino a pochi anni fa gli immigrati erano pochissimi. Gli islandesi di oggi sono dunque i discendenti diretti dei primi coloni giunti nel nono secolo d.C. In secondo luogo, gli islandesi hanno una vera passione per gli alberi genealogici.

Quelli dei primi abitanti dell’isola sono registrati nell’Islendingabok (il Libro degli Islandesi, consultabile all’indirizzo www.islendingabok.is) che permette di scoprire i predecessori degli isolani attuali quasi fino al mitico Ingolfur Arnarson – secondo le saghe colonizzò l’Islanda con un pugno di vichinghi e di schiave celte.
L’hobby nazionale della genealogia nasce anche da una necessità pratica: il rischio di unioni tra consanguinei è più elevato che altrove. Ma per fortuna la tecnologia corre in aiuto: una comoda app permette agli islandesi di consultare il Libro prima di finire a letto con un cugino.
Aggiungeteci infine che, da buoni nordici, gli islandesi hanno un sistema sanitario universalista ed efficiente. È facile, allora, capire perché l’Islanda sia il posto ideale per compiere analisi genetiche: a partire dalle malattie che ricorrono in determinate famiglie, si confrontano i dati genetici dei malati imparentati. Trovare le mutazioni che le generano, con un campione così scremato, diventa assai più facile.

Marketing patologico

I ricercatori della deCODE hanno già compiuto diverse importanti scoperte. A loro dobbiamo l’individuazione di mutazioni che proteggono dallo sviluppo del morbo di Alzheimer o dall’infarto, e di altre che favoriscono lo sviluppo di diversi tumori o la schizofrenia.
Insieme alle moderne tecniche di modifica genetica, queste scoperte potrebbero condurre a nuove terapie contro patologie assai diffuse. Finora, però, la deCODE ha accumulato soprattutto perdite, tanto da dichiarare bancarotta nel 2009. La proprietà è passata di mano varie volte e oggi l’azienda è controllata dalla casa farmaceutica statunitense Amgen, che nel 2012 la comprò per 415 milioni di dollari: tanto vale il database raccolto. Gli islandesi che fornito i campioni biologici, invece, sono stati ricompensati con una t-shirt.
Sull’esempio islandese, anche in Sardegna si è tentato di trasformare l’isolamento in risorsa genetica. La regione più interessante per i biologi è l’Ogliastra, e in particolare una decina di paesini di montagna in provincia di Nuoro. Ben tredicimila abitanti della zona hanno ceduto volontariamente i loro dati genetici alla SharDna Spa, nata da una collaborazione tra il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e l’imprenditore Renato Soru.

L’Ogliastra non è stata scelta a caso. È rimasta isolata per secoli, come l’Islanda. E come l’Islanda dispone di eccezionali documenti sulla genealogia locale, i cosiddetti «Quinque libri». Si tratta di registri ecclesiastici che conservano matrimoni e battesimi degli ultimi quattro secoli.
Grazie alle informazioni e ai campioni raccolti, i ricercatori della SharDna hanno pubblicato decine di studi sul legame tra mutazioni genetiche e condizioni somatiche. Sono state così rintracciate le origini genetiche di alcune patologie comuni come l’obesità e i calcoli renali. Ma ciò che interessa maggiormente i biologi è la longevità degli abitanti dell’area, seconda solo alla provincia giapponese di Okinawa. La prevalenza dei centenari in Ogliastra è cinquanta volte maggiore che negli Usa o nel Regno Unito. I meccanismi genetici alla base del fenomeno dell’invecchiamento e della longevità sono ancora in gran parte ignoti e la banca dati realizzata da SharDna è preziosissima. Solo il mercato sembra non essersene accorto. Già, perché Ogliastra e Islanda condividono anche un’altra caratteristica.

Come la deCODE genetics, anche la SharDna non ha avuto vita facile. Quando divenne presidente della Regione, per evitare conflitti di interessi Soru dovette a cederla alla Fondazione San Raffaele per circa tre milioni di euro. Il crac finanziario dell’impero di Don Verzé, però, ha travolto anche la SharDna che nel 2014 ha dichiarato fallimento, licenziato i dipendenti e messo all’asta il suo patrimonio materiale e immateriale. Proprio in questi giorni si è conclusa la gara per aggiudicarsi la banca dati raccolta negli anni dall’équipe guidata dal genetista del Cnr Mario Pirastu.

L’asta è andata praticamente deserta e la banca dati è stata venduta al prezzo base di 258 mila euro, una miseria, a una società con sede a Londra, la Tiziana Life Sciences. La notizia che i profili genetici di tredicimila ogliastrini finiranno in mani straniere (anche se ai vertici della società figurano diversi ricercatori italiani) non è stata gradita dalla popolazione, che ora minaccia di negare il consenso informato alla nuova società, necessario per l’utilizzo i dati della bio-banca. Nei prossimi mesi, la battaglia entrerà nel vivo e sarà un bel terreno di prova per il complicato rapporto tra scienze della vita e cittadinanza.

L’umanità nomade

Qualcuno, però, è davvero riuscito a far perdere le proprie tracce su un’isola del Pacifico, almeno per qualche anno. Si tratta dei famosi ammutinati del Bounty, che due secoli fa si stabilirono sull’isola di Pitcairn per sfuggire al castigo della regina d’Inghilterra. Dopo averli rintracciati e perdonati, nel 1856 la regina Vittoria li trasferì sull’isola di Norfolk. Ma i genetisti Miles C. Benton e Shani Stuart, dell’Università del Queensland, hanno voluto vederci chiaro. Nel 2015, dati genetici alla mano, hanno verificato che effettivamente gli abitanti dell’isola di Norfolk discendono dagli ammutinati e dalle donne provenienti da Tahiti che li seguirono a Pitcairn. Sfruttando il fatto che la parte di Dna che si trova nei mitocondri delle cellule proviene esclusivamente dalla madre, gli scienziati sono riusciti a ricostruire le 11 generazioni che compongono l’intero albero genealogico dei norfolkiani attuali. Più rintracciati di così.

Fino a poco tempo fa, tuttavia, si pensava che il più bravo fuggiasco della storia fosse stato l’uomo di Flores. Si tratta di un cugino dell’Homo Sapiens alto meno di un metro (i paleontologi lo hanno soprannominato hobbit) i cui resti, scoperti nell’isola indonesiana di Flores nel 2003, hanno suggerito ai ricercatori ipotesi parecchio fantasiose. Le prime datazioni, infatti, facevano risalire l’homo Floresiensis a solo dodicimila anni fa, pochissimi sulla scala dell’evoluzione. Per capirci: nella stessa epoca i Sapiens, sbaragliata ovunque la concorrenza dei Neanderthal, si apprestavano ad addomesticare piante e animali e a fondare i primi insediamenti stabili.

L’uomo di Flores, secondo le teorie iniziali, si era aquattato nelle fitte foreste dell’arcipelago e aveva seguito un’evoluzione genetica del tutto indipendente, al riparo dall’invadenza dei Sapiens. Forse sull’isola di Flores si poteva sopravvivere e persino sviluppare una rudimentale tecnologia, con un fisico nano e un cervello da scimpanzé? Neanche per sogno: nel marzo di quest’anno, un nuovo studio dell’università australiana del Wollongong ha ricollocato l’hobbit in un’epoca più lontana, circa cinquantamila anni fa. L’uomo di Flores, dunque, potrebbe essersi estinto proprio per colpa dei Sapiens tecnologicamente più avanzati. Era un’umanità nomade, ma fuggiaschi e «scienziati» avevano già iniziato a litigare.

*

Le altre pagine di Per terra e per mare uscite:

1 – Iain Chambers, La schiavitù galleggiante

2 – Marco Bascetta, Il naufrago testimone

3 – Giuliana Misserville, Liquide sponde di piacere

4 – Angelo Arioli, Un miraggio all’orizzonte

5 – Laura Fortini, Un apprendistato di lotta e grazia

6 – Michela Pasquali, I giardini fluttuanti

 

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento