Coltivare in acqua su strutture galleggianti non solo è possibile, ma è anche sostenibile ed ecologico. E la produzione agricola è fino a dieci volte maggiore rispetto a quella tradizionale. I materiali utilizzati sono tutti naturali, biologici e disponibili localmente. Ma oltre alla produzione di ortaggi e di altre colture, orti e giardini galleggianti rappresentano uno strumento di grande importanza per la creazione di nuovi habitat naturali per specie animali e vegetali e quindi fondamentali per la riqualificazione delle sponde di laghi e fiumi, per la fitodepurazione delle acque e l’aumento della funzionalità ecologica oltre, naturalmente, alle indubbie valenze estetiche.

Numerosi sono anche i benefici economici, ambientali e sociali: aiutano a conservare vivo e sano l’ambiente e il paesaggio, richiedono poca manutenzione e cura, sono poco costosi poiché si utilizzano solo risorse naturali e locali e spesso rappresentano l’unico metodo di coltivazione possibile dato che ovviamente non risentono dell’innalzamento del livello dell’acqua soprattutto in casi di fiumi o laghi soggetti a inondazioni periodiche.

Un cibo nel bacino

Durante la stagione dei monsoni una parte del Bangladesh viene sommersa dall’acqua costringendo chi vive in quelle aree ad affrontare ogni anno una drammatica situazione: scuole chiuse, case sfollate, campi distrutti. Solo un antico metodo di coltivazione sopravvive in questi frangenti e si chiama Vasoman Chash cioè «Agricoltura galleggiante».
Molto simile alla tecnica idroponica (tecnica di crescita delle piante fuori terra, questo sistema si avvale di una piattaforma stabile, un letto di coltura organico, naturale e leggero, composto principalmente da erbe infestanti come i giacinti d’acqua e da altri residui o paglia di riso, erbe e alghe, tutte disponibili localmente e presenti in grande abbondanza. In maggio e giugno i contadini raccolgono lungo i fiumi, nei laghi e in altri bacini d’acqua tutto il materiale necessario a costruire la base stabile delle superfici galleggianti alla quale viene aggiunto uno strato più superficiale di altro materiale vegetale più sminuzzato e che si degrada facilmente offrendo una buona concimazione, tanto che sono addirittura più fertili rispetto a quelli tradizionale su suolo. Ci vogliono circa dieci o quindici giorni di lavoro e la base per le coltivazioni è pronta per essere trasportata e collocata nel posto stabilito, quindi ancorata con alcuni pali di legno e finalmente coltivata.

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Queste superfici, costruite con dimensioni, forme, spessori diversi in base al tipo di coltivazioni e alle diverse necessità, galleggiano facilmente sull’acqua e compongono tutte insieme dei grandi campi coltivati con ortaggi come okra, insalate, zucche, spinaci, cetrioli, pomodori, spezie, fiori e molto altro. I contadini si muovono agilmente tra le isole con piccole e leggere imbarcazioni, utili per la raccolta, ma anche per la pesca. Poi, durante la stagione invernale, le isole galleggianti, ricche di sostanze nutrienti, vengono trasportate fino alla terra ferma dove vengono disfatte e mescolate con il terreno per concimarlo.
Questi giardini galleggianti forniscono cibo durante gli annual monga (periodi di siccità e quindi di scarsità di cibo) oltre a essere una risorsa alternativa e fondamentale di guadagno grazie alla vendita di ciò che non viene consumato in famiglia. In più, queste isole possono essere spostate di luogo in luogo così da essere utilizzate temporaneamente o permanentemente da chi ha perso casa e terre.

Il metodo Chinampa

Un sistema molto simile per metodi, forme e materiali viene adottato da secoli anche in Birmania nel lago Inle, famoso particolarmente per la coltivazione galleggiante di pomodori. Qui le isole sono strette e lunghe e possono essere coltivate anche per quindici anni di seguito prima di essere disfatte e di ritornare a far parte del ciclo vitale del lago.
Diversa, invece, è la tecnica che veniva utilizzata anticamente in alcuni laghi di Messico e Bolivia. Questo sistema di campi galleggianti, coltivati in laghi, paludi o aree alluvionali si chiama Chinampa, nome che deriva da nahuatl chinamitl che significa «quadrato fatto di canne». Gli esemplari più antichi risalgono al 1150 – 1350 e quelli conservati meglio e da visitare si trovano nei laghi Xochimilco e Chalco in Messico oppure in Bolivia nella zona di Beni o di Los Llanos de Moxos.

Fragili terreni

Le isole di terra arabile e fertile erano costruite puntellando il fondo del lago con numerosi pali che delimitavano delle aree rettangolari di circa 30 metri di lunghezza e 2,5 di larghezza che venivano riempite poco a poco un po’ sopra il livello dell’acqua con fango, sedimenti del lago e residui di vegetazione. Le Chinampas erano separate tra loro da una vasta rete di canali che non solo contribuivano a regolare il livello delle acque, ma costituivano anche una facile via di comunicazione tra i campi e i mercati grazie al passaggio delle canoe. Le coltivazioni più comuni erano mais, fagioli, amaranto, pomodori e chili, ma venivano i campi galleggianti venivano utilizzati spesso anche per i fiori da taglio.

Sembra che il cibo proveniente dalle Chinampas coprisse una cifra compresa tra la metà ed i due terzi del fabbisogno di ortaggi di Tenochtitlán, l’antica capitale del Messico. Nel lago Titicaca, tra Bolivia e Perù, le isole galleggianti sono tuttora utilizzate e abitate dagli Uros, popolo precedente agli Inca, e sono fatte e rifatte continuamente con le Totora Reeds (Schoenoplectus californicus), piante autoctone che proliferano spontaneamente in acqua con le quali non si costruiscono solo le isole stesse, ma anche case e imbarcazioni, rappresentando una vera e propria peculiarità locale e turistica.
Queste isole cambiano di misura, allargandosi o restringendosi in funzione delle diverse esigenze; la loro superficie non è mai piana o regolare e camminandoci sopra si ha la sensazione di muoversi come su un materasso ad acqua. Spesso sono così sottili che la gamba di una sedia può sprofondare nell’acqua.

A fianco di queste esperienze di agricoltura galleggiante tradizionale, diverse università e aziende internazionali stanno sviluppando sempre più progetti che grazie a tecniche innovative hanno scopi diversi dalla produzione, ma si orientano verso soluzioni di tipo ambientali e paesaggistici come la riduzione dell’erosione. Diminuiscono infatti l’impatto delle onde, proteggendo le rive e deviando le correnti allontanandole da zone a rischio, oppure di integrazione paesaggistica ed estetica, aumentando la biodiversità e favorendo lo sviluppo di nuovi habitat per vegetali e animali. Queste isole galleggianti, veri giardini verdi e naturali, sono composte prevalentemente da materiali naturali come la fibra di cocco, quindi completamente biodegradabili o in parte anche da materiali riciclati come il polietilene per dare una struttura più solida all’insieme. Tutte con un aspetto naturale e spontaneo possono essere costruite in moduli di diverse misure e forme per adattarsi a tutte le esigenze.

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Non necessitano manutenzione: si avvalgono del rinnovamento ed evoluzione naturale della vegetazione e si possono installare in qualunque periodo dell’anno. Le piante utilizzate hanno radici molto lunghe – fino a 150 cm – e lo sviluppo di queste radici sotto la struttura galleggiante è il mezzo più idoneo per lo sviluppo di quei processi naturali di depurazione delle acque grazie all’attività microbiotica associata alle radici, in grado di passare da diverse tipologie di acque contaminate, fino a ottenere addirittura dell’acqua potabile. Utilizzate per bacini d’acqua naturali o artificiali, vengono ancorate sul fondo del bacino.

Il «Jellyfish barge»

Oltre alle tecniche antiche e moderne, i giardini galleggianti vengono adottati anche in città come installazioni o veri e propri sistemi sperimentali di coltivazione. Fra i tantissimi esempi, GrowOnUs, uno dei nuovi brillanti progetti dello studio newyorkese di architettura del paesaggio Diana Balmori Associates adottato nel Gowanus Canal a Brooklyn con l’obiettivo di depurare le acque inquinate del canale e di produrre ortaggi sani a km0. Un altro, tra gli esempi più interessanti, è italiano e si chiama Jellyfish barge, una piattaforma galleggiante in grado di produrre alimenti senza consumo di suolo, di acqua e di energia. In pratica, la perfetta soluzione per agricoltori alle prese con il climate change. Si tratta di una serra modulare galleggiante, energeticamente autonoma e in grado di produrre fino a 150 litri di acqua al giorno, dissalando quella salata, salmastra o inquinata.

Al suo interno, un sistema di coltivazione idroponica, regolato e monitorato automaticamente e gestito tramite controllo remoto, garantisce un risparmio del 70% di acqua rispetto alle colture tradizionali mentre tutta l’energia necessaria è prodotta da pannelli fotovoltaici, mini turbine eoliche e da un sistema che sfrutta il moto ondoso per produrre elettricità. Un sistema perfetto che con nuove tecniche e tecnologie, vuole proporre dei modelli sostenibili ed economici per ridurre lo spreco di tutte quelle risorse – terra, acqua, energia, trasporti – che, a causa dell’elevata crescita della popolazione mondiale e dell’aumento dell’urbanizzazione, diventeranno sempre più scarse e costose.

6 – continua

SCHEDA

L’allestimento temporaneo «Floating Garden» è stato realizzato nel lago di Regent’s Park a Londra in occasione del Festival Chelsea Fringe nel 2015 dall’autrice di questo articolo insieme all’artista romana Veronica Montanino. Qui, alcune isole circolari di diverse dimensioni (trentacinque in tutto) costruite con fogli di polistirolo dipinte e diverse piante aromatiche si muovevano lentamente nell’acqua con le leggere correnti e con il vento formando arcipelaghi sempre differenti. Si è creato così un nuovo bizzarro ecosistema in un gioco sempre nuovo di forme e colori e di mimetismo fra artificio e natura. Con questo esperimento Linaria, associazione non profit creata per promuovere la diffusione della cultura del giardino, del paesaggio e dell’ambiente, vuole dare il via a nuove iniziative, tra workshop e installazioni, da sviluppare in Italia sulle numerose peculiarità estetiche e funzionali di nuovi orti e giardini galleggianti. www.linariarete.org

 

Le altre pagine di Per terra e per mare uscite:

1 – Iain Chambers, La schiavitù galleggiante

2 – Marco Bascetta, Il naufrago testimone

3 – Giuliana Misserville, Liquide sponde di piacere

4 – Angelo Arioli, Un miraggio all’orizzonte

5 – Laura Fortini, Un apprendistato di lotta e grazia