Stop al petrolio russo via mare entro il 2022, la decisione del Consiglio europeo rischia di decretare la fine della raffineria Isab-Lukoil di Priolo e, con la sua chiusura, la crisi del porto di Augusta. Cgil e Filctem nazionali, regionali e di Siracusa chiedono al governo di intervenire sulle banche affinché riaprano le linee di credito all’Isab, consentendo così alla società di comprare il greggio su altri mercati. La raffineria di Priolo è un’azienda di diritto italiano controllata dalla svizzera Litasco Sa, a sua volta controllata dalla russa Lukoil. Isab impegna, tra lavoratori diretti e indiretti, circa 3mila persone, quasi tutte famiglie monoreddito; l’area industriale vale il 51% del Pil della provincia siracusana. Le navi che riforniscono l’impianto costituiscono un quinto dell’intero traffico del porto di Augusta.

La società non è sottoposta a sanzioni ma è bastato in sede Ue aprire la discussione sul sesto pacchetto di misure punitive alla Russia per innescare il blocco del credito alla Isab da parte delle banche. Così la società, che prima importava solo il 15% del greggio da Mosca e il resto lo prendeva sul mercato internazionale, è stata costretta a rifornirsi al 100% dalla Russia, gli unici che le fanno credito. Lunedì notte, dopo un mese di trattative, in sede Ue è stato deciso l’embargo al greggio russo via mare. «Il governo intervenga sulle banche affinché riaprano a Lukoil le linee di credito oggi bloccate – la richiesta di Cgil e Filctem -. Si rischia il collasso dell’intera area industriale, con la perdita di circa 10mila posti di lavoro. La riapertura del credito consentirebbe l’acquisto del greggio sul mercato, con il superamento degli effetti indotti dalla giusta sanzione alla Russia».

Il presidente siciliano Nello Musumeci ieri ha scritto sui social: «Il mio governo ha compiuto atti, chiesto la deliberazione dell’area di crisi complessa, proposto investimenti, invocato chiarezza. Ma dal governo Draghi nessuna risposta». Così dal ministero dello Sviluppo economico è partita la nota: «Il Mise segue con attenzione la situazione di Priolo, pronto a valutare la dichiarazione di area di crisi complessa». Ma l’assessore alle Attività produttive, Mimmo Turano, ha poi precisato: «Abbiamo presentato 7 mesi fa la richiesta di area di crisi, nessun tipo di risposta ci è stata data nonostante abbia scritto 4 volte al ministro Giorgetti». La viceministra Todde ieri ha convocato un tavolo sul polo siracusano: «L’istruttoria non è ancora finita – ha spiegato -, l’obiettivo è quello di porre le basi per la trasformazione in chiave industriale e la decarbonizzazione dell’area, coinvolgendo tutti gli attori istituzionali».

La Cisl commenta: «Ci pare che il governo abbia preso sottogamba il problema. Ci auguriamo che non si percorrano strade già battute, come lo smaltimento delle ferie e la cassa integrazione, e che l’iter per ottenere il riconoscimento di area di crisi industriale complessa per il polo industriale di Siracusa si possa finalmente concludere in modo da favorire la riconversione del sito e l’attuazione di un sistema energetico integrato. Intanto, sarà necessario lo sblocco delle linee di credito per azienda e fornitori con la possibilità di acquistare greggio altrove».

La crisi dell’Isab si aggiunge a un quadro già critico. La Sicilia, infatti, sta pagando un prezzo alto rispetto alla guerra in Ucraina, come sottolinea lo studio realizzato per conto della Cgil Sicilia da Giuseppe Nobile: diminuzione dell’export, calo dei flussi turistici (nel 2019 si sono registrate 273mila presenze dalla Russia, il 3,6% del totale degli stranieri, per una spesa generata di circa 25 milioni di euro) a cui si sommano aumenti dei generi di largo consumo. I prodotti alimentari in Sicilia sono cresciuti del 10,3% (in Italia del 7%); le spese per abbigliamento del 4,4% (in Italia del 2,7%); per abitazioni, acqua, elettricità e gas del 19,2% (in Italia del 16,2); per i trasporti del 17,7% (dato nazionale del 15,8%).