Dopo lo scioglimento anticipato delle Camere lo scorso 17 maggio e a qualche giorno della fine della legislatura, per aumentare la partecipazione privata nei settori strategici dell’Ecuador – petrolio, energia, telecomunicazioni e opere pubbliche – il presidente Guillermo Lasso prepara una serie di decreti presidenziali. Fino alla formazione del nuovo Parlamento infatti, l’articolo 148 della Costituzione consente al presidente della Repubblica di emanare decreti leggi di urgenza economica, che però devono essere ratificati dalla Corte Costituzionale. Tuttavia è chiaro che Lasso voglia accelerare le riforme con una chiara matrice neoliberista prima di lasciare il Palazzo Carondelet.

Le imprese pubbliche nel mirino – Celec, Flopec, Petroecuador, Cnel e Cnt – gestiscono oltre 10.000 milioni di dollari in contratti.

L’ATTUALE PRESIDENTE ha già detto che non si ricandiderà alle elezioni del prossimo 20 agosto, ma lavorerà per presentare un candidato unitario della coalizione di destra ancora frammentata. Lasso all’inizio dell’anno 2023 registrava un 82.6% di rifiuto popolare, secondo l’ultimo sondaggio Market.

Gli ultimi due presidenti dell’Ecuador, Lenin Moreno e Guillermo Lasso hanno avuto una legislatura molto tormentata ed entrambi hanno chiuso con un forte ripudio popolare. Il primo oggi vive in Paraguay e non può tornare in Ecuador perché ci sono degli accertamenti giudiziari nei suoi confronti per presunti atti di corruzione nella costruzione dell’idroelettrica Coca Codo Sinclair.

Invece Lasso, è stato accusato da una buona parte del Parlamento di appropiazione indebita per un contratto tra la compagnia pubblica di trasporto petrolifero Flopec e Amazonas Tanker. Lasso è il sesto presidente che dal ritorno alla democrazia nel 1979 non ha completato la legislatura di 4 anni.

Prima di lui e per motivi diversi hanno lasciato il palazzo presidenziale anzitempo: Jaime Roldos, Abadala Bucarám, Jamil Mahuad, Lucio Gutiérrez ed Alfredo Palacios.

A due anni esatti dalla vittoria elettorale, lo scorso 24 maggio Lasso mel suo secondo e ultimo discorso alla nazione ha rivendicato i successi nella lotta alla corruzione e nel campo della salute e dell’occupazione. Tuttavia, la maggior parte della popolazione non approva la sua gestione. L’ultima manifestazione di rifiuto nei suoi confronti è stata quella degli studenti della più grande Università dell’Ecuador e cioé la Centrale di Quito.

(foto Ap)

Nel frattempo, cominciano a circolare nomi ufficiali di candidati presidenziali come quello di Fernando Villavicencio, ex deputato del partito Creando Oportunidades (Creo) che si candida per la destra ma senza ancora un partito ufficiale. Una candidatura che aleggiava nell’aria da tempo e che vede l’appoggio, al momento, di Paula Romo, ex ministra del governo Moreno. Altre due candidature quasi sicure son quelle dell’ex vicepresidente della Repubblica nel governo Moreno, Otto Sonnenholzner sempre per la destra e quella di Yaku Perez già Pachakutik e oggi leader del movimento Somos Agua (centro-sinistra) che incassa l’appoggio della Sinistra Democratica e dell’Unità Popolare.

Un’altra candidatura a destra è quella dell’imprenditore Jan Topic, che ha già ricevuto il sostegno del partito della destra costegna del Partito Social Cristiano e dell’ex candidato presidenziale Freile, unico out-sider al momento.

In un video apparso qualche giorno fa nelle reti sociali, ha annunciato la sua candidatura dopo essersi presentato come un combattente in Ucrania, Siria e in Africa e dopo aver centrato il suo discorso sul pugno duro contro delinquenza e anarchia.

Infine, l’altra candidatura quasi certa è quella del Presidente della Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador (Conaie), Leonidas Iza, che dovrà avere però il parere favorevole dell’Assemblea Nazionale dei Popoli e Nazionalità Indigene dell’Ecuador.

Leonidas Iza (Ap)

Uno scenario molto frammentato quindi, con una miriade di candidati che hanno un obiettivo comune: battere i candidati dell’ex presidente (2007-2017) Rafael Correa e del “correismo”, che genera ancora molti timori per le politiche economiche neokeynesiane con una buona partecipazione dello Stato e del settore pubblico: un grave pericolo per le elite neoliberiste del paese e del continente.

Qualcosa di analogo passa con altri presidenti di centro sinistra in America Latina. Lula in Brasile, il kirchnerismo in Argentina, Petro in Colombia, per citarne alcuni.

Intanto, probabilmente sarà nuovamente Andrés Arauz il candidato del partito correista, Revolución Ciudadana, che dovrebbe presentarsi con Viviana Veloz, la deputata che ha guidato il processo politico contro Lasso. Il correismo nelle ultime elezioni amministrative ha raccolto un buon risultato conquistando 10 regioni su 24 e le tre città più grandi del paese. Quito, Guayaquil e Cuenca. Forse la strategia di Correa, in queste elezioni potrebbe essere non conquistare la Presidenza, ma aumentare il numero di parlamentari con l’aiuto delle amministrazioni locali recentemente conquistate, per poi mettere in difficoltà il nuovo Presidente che dovrà gestire una situazione molto complicata.

L’Ecuador registra alti indici di criminalità e violenza (il secondo in America Latina), tassi alti di disoccupazione e una nuova ondata di emigrazione verso Usa e Messico. Inoltre, il nuovo presidente eletto dovrà governare solo un anno e mezzo per completare la legisltatura. Forse bruciarsi ora in una situazione congiunturale economica e sociale contraria non vale la pena per il centro sinistra e la sinistra ecuadoriana. Meglio far gestire la patata bollente al centro destra e vincere in modo netto nel 2025.

Anche perché, in Ecuador oggi l’unico partito che ha un buon radicamento sul territorio, una base sociale e dei quadri è quello della Revolución Ciudadana insieme al Movimento della Conaie e il suo braccio politico Pachakutik. Tutti gli altri sono in crisi di credibilità e di consensi.

Creo con la crisi del suo leader Lasso, è in via di estinzione. Il Partito Social Cristiano di Nebot, dopo la cocente sconfitta nella sua roccaforte Guayaquil e la fuoriuscita dell’ex sindaca Viteri è in enorme difficoltà. La Sinistra Democratica ha governicchiato con gli ultimi due governi neoliberali (Moreno-Lasso) e con il ridimensionamento di Hervas: non ha possibilità di presentare un proprio candidato e correre da sola.