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Internazionale

Il bilancio sei mesi dopo l’invasione: le sanzioni alla Russia non funzionano

Il fallimento in copertina sull'Economist E nel terminal di Portovaya bruciano 10 milioni di euro al giorno di gas inutilizzato
Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 27 agosto 2022

Un rapporto pubblicato dalla Bbc sulla base di immagini satellitari dell’istituto di ricerca norvegese Rystad Energy dice che Gazprom sta bruciando al terminal Portovaya quattro milioni e trecentomila metri cubi di gas al giorno, per un controvalore, alle quotazioni record degli ultimi giorni, oltre i 330 euro per megwattora, attorno ai dieci milioni di euro.

Portovaya si trova sul Baltico, nei pressi di Vyborg, lungo il confine finlandese. Da quella stazione decisiva nella mappa russa dell’energia parte il gasdotto Nord Stream. Il combustibile che brilla in un incendio controllato doveva, quindi, raggiungere il terminal di Greifswald, in Germania, non fosse che Nord Stream fa parte da mesi del confronto tra il Cremlino e i governi europei. Gazprom ha già ridotto in modo graduale le forniture ai paesi “ostili”. A partire dal 31 agosto chiuderà il rubinetto per tre giorni, ufficialmente per lavori di manutenzione. Anche da questo dipende la decisione tecnica di eliminare attraverso combustione il gas in eccesso.

Non si tratta, tuttavia, del solo motivo. Perché, allora, i russi decidono di mandare in fumo, in senso letterale e figurato, dieci milioni di euro al giorno in un momento di estrema difficoltà dal punto di vista finanziario? Probabilmente perché nei loro calcoli il danno inflitto ai rivali è più grande, ancora non sappiamo quanto, rispetto a quello che subirà il bilancio federale.

Pare ormai del tutto evidente che il team economico del Cremlino abbia trovato il sistema di affrontare le sanzioni e le altre misure stabilite dall’Europa e dagli Stati Uniti, in particolare in tema di materie prime. Dopo sei mesi di guerra incessante in Ucraina e di fronte alla peggiore crisi di approvvigionamento che l’Unione abbia mai affrontato, aprire una verifica dovrebbe essere considerato un atto di buon senso, non di tradimento.

Anche il settimanale britannico Economist, abbandonando almeno in parte il fervore bellicista, chiede questa settimana in copertina: “Le sanzioni alla Russia stanno funzionando?”. La risposta, sempre secondo l’Economist, è complessa: per adesso il risultato è al di sotto delle aspettative, ma lungo un orizzonte di tre-cinque anni le sanzioni occidentali provocheranno il caos in Russia.

Il tempo, in effetti, è uno dei fattori fondamentali. Lo scopo delle sanzioni era duplice. Generare nel breve periodo una crisi di liquidità che fermasse l’invasione russa; e danneggiare nel medio termine la capacità produttiva del paese per rendere meno probabile l’ipotesi di altre sortite. Oggi si può serenamente affermare che il primo obiettivo le sanzioni lo abbiano mancato. Il fatto che il capo del Cremlino, Vladimir Putin, abbia ordinato in settimana di portare gli effettivi dell’esercito ben oltre il milione di unità alimenta l’incertezza sul anche secondo punto. È difficile immaginare che ne sarebbe dell’Ucraina dopo tre, quattro o cinque anni di guerra.

Esiste, poi, un elemento psicologico. L’impressione è che la Russia abbia superato i primi sei mesi di sanzioni senza troppa fatica. Per piazzare le materie prime che l’Europa ha messo al bando ha semplicemente fatto ricorso a un po’ del soft power di cui è capace, in questo caso prezzi ribassati rispetto alle quotazioni ufficiali. Il carbone in eccesso è venduto in Cina. Il gas in Turchia. Un caso significativo riguarda il petrolio. A marzo i russi vendevano quantità irrilevanti di greggio all’India. A giugno sono diventati il primo fornitore del paese con oltre un milione di barili al giorno.

È vero, le sanzioni stanno colpendo con forza i produttori di automobili e hanno costretto i russi a rinunciare a telefoni portatili di ultima generazione, a fast food americani e abiti alla moda cuciti in Europa. In prospettiva potrebbero piegare un settore decisivo com’è quello del trasporto aereo. Ma sino a questo momento il governo e la Banca centrale non sono ancora sembrati in seria difficoltà. Imporre sanzioni alla Russia, questo è chiaro, rappresenta un obbligo anche sul piano morale.

Da sole, però, queste misure non sembrano in grado di condurre alla rapida fine del conflitto. Nel caso in cui dovessero contribuire all’instabilità economica e politica dei paesi che le hanno approvate il risultato rischierebbe di essere, paradossalmente e pericolosamente, l’opposto.

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