La Marcia su Roma, il 28 ottobre 1922, vide la mobilitazione di migliaia di squadristi. Per lo storico Emilio Gentile ben 25 mila divisi in più colonne. Già nella giornata precedente, il 27, in diverse città, tra cui Cremona, Pisa, Siena, Foggia e Perugia, vi erano state occupazioni di questure, prefetture, stazioni ferroviarie, uffici postali.

LE COLONNE FASCISTE erano comunque male armate con pochi fucili. Pioveva e i mezzi di trasporto annoveravano biciclette, qualche camion, con la maggioranza costretta a muoversi a piedi avendo il governo Facta bloccate le ferrovie. Quest’accozzaglia disordinata e violenta entrò a Roma quando Mussolini era già stato nominato dal re Vittorio Emanuele III capo del governo, il 30 ottobre.

QUI GLI SQUADRISTI si scatenarono contro gli antifascisti a San Lorenzo, che risposero al fuoco. Ne seguì una battaglia per tutto il quartiere con tredici morti e numerosi feriti. Un attacco pesantissimo. Roma fu una delle poche città dove gli antifascisti si batterono per contrastare l’ascesa violenta del fascismo.

MENO CONOSCIUTO è ciò che accadde a Milano. Qui all’alba i fascisti si asserragliarono alla Casa del fascio in via San Marco e soprattutto in via Lovanio alla redazione del Popolo d’Italia, presente Benito Mussolini, dove furono erette delle barricate con sacchetti di sabbia e bobine di carta, mentre squadristi armati si erano posizionati anche sui tetti. Le guardie regie li avevano circondati con tre autoblindo, posizionato mitragliatrici e innestate le baionette sui fucili. Partì anche per sbaglio un colpo dal fronte degli assediati. Il futuro duce tentò di parlamentare ma gli fu risposto da un maggiore che non era possibile concordare nulla con dei «rivoltosi». Siamo solo a qualche ora prima della comunicazione da parte del Re dell’incarico a Mussolini di costituire il governo. Partirà in treno la notte del 29 alla volta di Roma. I fascisti erano in marcia e Mussolini si era trincerato a Milano. «In caso di fallimento», farà notare Angelo Tasca ne La nascita del fascismo, era «a pochi chilometri dalla frontiera svizzera». Quella via di fuga che anni dopo, nell’aprile del 1945, cercò ancora di imboccare senza fortuna.

NEL 1972, nel cinquantesimo della «Marcia», Pietro Nenni, leader storico del Partito socialista italiano che visse l’avvenimento in diretta, scrisse ne La lunga notte del 28 ottobre che «la fine del sistema parlamentare fu più il risultato del crollo interno della classe politica che dell’attacco delle camicie nere». Lo Stato liberale abdicò sotto la spinta degli industriali e degli agrari, così il Re pressato dall’esercito. Che non vi fosse altrimenti possibilità di successo era ben chiaro agli stessi fascisti. La Marcia su Roma vista da Milano lo provava.